L’inefficienza del sistema di assegnazione dei fondi per la ricerca

soldi alla ricerca

Non nasce certo oggi la preoccupazione che nel sistema di assegnazione dei fondi alla ricerca ci sia qualcosa che non vada. Attenzione non stiamo parlando di vicende italiane, di baroni e di scelte clientelari e/o politiche, stiamo parlando degli USA e del sistema in se, non di qualche sua perversione.
Ora a mettere nero su bianco in una ricerca con tutti i crismi dello studio scientifico l’evidenza di questa inefficienza sono un professore di biologia e uno di statistica,  Carl Bergstrom dell’Università di Washington e  Kevin Gross dell’Università di stato della Carolina del Nord . Ne troviamo notizia sul sito della Washington University  mentre la ricerca è uscita  su PLOS Biology.
Oggi, complice il  ridursi dei fondi pubblici destinati alla ricerca (una diminuzione non in termini assoluti ma rispetto a quanto si sia allargata la platea dei ricercatori che li richiedono) solo un 10-20% delle ricerche che richiedono fondi viene effettivamente finanziato da agenzie quali la National Science Foundation o il National Institutes of Health, negli anni ’70 la percentuale era il 40-50%, la conseguenza è che oggi non si discrimina più tra buone e cattive proposte, si è costretti a discriminare tra proposte di ricerca valide,  il che ha trasformato la competizione in una gara a chi scrive meglio la domanda di fondi e questa attività è arrivata a fagocitare percentuali consistenti del tempo dei ricercatori più esperti (i responsabili delle ricerche che fisicamente preparano le domande) che viene sottratto all’insegnamento e persino alla ricerca stessa.



Bergstrom e Gross spiegano che essenzialmente l’attuale sistema è un’applicazione della teoria economica detta Theory of contests (teoria dei tornei) e dimostrano l’inefficienza di questo sistema che arrivano a definire ormai insostenibile.
Nella ricerca rientra persino Netflix perché i ricercatori prendono come esempio per illustrare il funzionamento della teoria dei tornei la gara indetta da Netflix che aveva bisogno di un algoritmo per prevedere quali film sulla sua piattaforma sarebbero stati votati con giudizi più alti, Netflix avrebbe preso l’algoritmo giudicato migliore e il team vincente il premio di un milione di dollari. Questo sistema però non va bene per finanziare la ricerca perché le agenzie vogliono finanziare la ricerca non “guadagnare” per se stesse delle richieste di fondi ben scritte.
I ricercatori propongono delle alternative, si tratta di alternative conosciute ma abbastanza controverse come quella della lotteria parziale, cioè si seleziona un numero maggiore di ricerche di pari interesse e poi si estrae a sorte a quali andranno i fondi, dato il carattere in parte casuale dell’assegnazione la teoria dei tornei dimostra che i richiedenti puntando a un premio più basso (un tentativo alla lotteria invece che un incasso garantito) passerebbero meno tempo a perfezionare la propria domanda.
Il sistema della lotteria parziale è già usato nel mondo, per esempio da due agenzie pubbliche in Nuova Zelanda e dalla Fondazione Volkswagen, Bergstrom e Gross dimostrano come questa potrebbe liberare i professori dal ciclo infinito delle domande per richieste fondi.



Un’altra alternativa sarebbe basare l’assegnazione di fondi in base ai meriti passati dei richiedenti, ma questo sistema naturalmente danneggerebbe i giovani ricercatori e quelli appartenenti a gruppi meno rappresentati quindi dovrebbe essere corretto. Una possibilità adombrata dagli autori dello studio è un sistema ibrido che utilizzi la lotteria parziale per chi è agli inizi e il sistema basato sui meriti passati per accademici anziani.

Roberto Todini

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