I meccanismi dell’industria tessile, l’ambiente eterno escluso dalla fashion week

industria tessile

Il grido degli attivisti arriva sul palco di Sanremo. Il greenwashing dell’industria tessile e non solo cela il finto interesse nella corsa al disperato salvataggio di un pianeta in ginocchio. Colpito e deturpato da coloro che infrangono il sacro patto con gli inquilini del domani. Eredi delle cicatrici e degli errori di chi non ha saputo custodirne le chiavi.

Il ruolo dell’ambiente

L’ambiente è da sempre immancabile punto all’ordine del giorno nelle agende dei politici di tutto il mondo. Numeri, percentuali e limiti si susseguono in accordi e conferenze che inneggiano ad una rivoluzione per il momento solo combattuta a suon di vaghe promesse.

L’interesse alla salvaguarda del pianeta è sacrificato sull’altare del mercato mondiale, ultimo nella scala sociale del regno del tiranno denaro. L‘economia verde ha un costo che non si è disposti a pagare per gli interessi dell’umanità a discapito dei lauti portafogli di pochi. A ben vedere fa comodo un po’ a tutti il sistema dell’indifferenza. Si nasconde la polvere sotto il tappeto accettando la catastrofe che potrebbe essere evitata con un collettivo impegno. Come sempre si tratta di prendere posizioni scomode cosa di cui gli umani ossessionati e incuranti conquistatori non ne hanno alcun intenzione.

I dati sui settori più inquinanti, spicca l’industria tessile

Eppure se ne sente parlare frequentemente non solo nelle sale dorate dei luoghi del potere. I più giovani combattono con perseveranza il disinteresse di chi li precede. Non è un mistero che manifestino un’attenzione maggiore per il mondo e la sua salute gravemente compromessa; i ragazzi di Glasgow non sono che la voce di una generazione e delle sue grida.

Nel 2010 l’organismo delle Nazioni Unite competente per l’osservazione sui cambiamenti climatici ha fatto un elenco dei settori più problematici e ad alto impatto dal punto di vista ambientale. Medaglia di bronzo è riservata alle industrie subito dopo la produzione di energia e l’allevamento intensivo, sui gradini più alti del podio. Tra le imprese interessate primeggia l’industria tessile e dell’abbigliamento, una delle più inquinanti dalla produzione alla distribuzione dopo il petrolio.




L’industria tessile e il fast fashion

Fast fashion è l’espressione è utilizzata per descrivere il sistema di produzione dei capi d’abbigliamento, frutto del vorace consumismo contemporaneo, dei grandi colossi del settore. Si tratta delle celebri catene che consentono cambi frequenti degli armadi a prezzi ridotti. Costi accessibili che favoriscono la cultura dell’accumulo compulsivo porto sicuro del capitalismo sfrenato, espressione di un miraggio di effimera felicità, ma a che prezzo?

A ben vedere ci perdono tutti sul lungo periodo per un guadagno momentaneo e solo apparente. Il progetto di relazione delle Nazioni Unite ha evidenziato come queste industrie siano responsabili delle percentuali più alte di emissioni di anidride carbonica e spreco d’acqua. Senza contare che per una produzione così massimalista vengono impiegate dosi abnormi di pesticidi e sostanze chimiche di scarsa qualità che rilasciate nell’ambiente danneggiano ecosistema e salute umana. Per concludere in bellezza non possono non essere citate le quantità eccessive di plastica utilizzate per imballaggi e spedizioni, in crescita nell’ultimo bienni a causa dell’emergenza sanitaria.

Il ciclo compro tanto pago poco che si conclude per ricominciare genera “scorie”. Tonnellate di abiti che finiscono nelle discariche, atto finale di un disegno criminoso a danno di tutti i suoi partecipanti.

Greenwashing

C’è però una fetta di consumatori che per lo meno ci prova a guardare oltre le ante del proprio armadio, consapevole che il terzo principio della dinamica è una metafora della vita stessa. Ogni azione ha una reazione, ognuno in quanto parte di una società ha delle responsabilità. Al di là del microcosmo platonico in cui pare immerso senza possibilità di risalita.

Per questo il marketing ha recepito il moto di coscienza, emerso grazie al contributo di associazioni impegnate da sempre nella cultura verde. Ed ha tentato subito di appropriarsene per fini di spregiudicato egoismo. Nasce così il greenwashing che abbaglia il consumatore come il canto delle sirene con l’Ulisse dai mille viaggi.

La sostenibilità paventata di materiali e produzione attrae il cliente con generali garanzie di accorata attenzione per i problemi ambientali. Un’indagine più approfondita rivela la vera essenza di queste campagne che altro non sono che pubblicità ingannevoli e illusorie. Così il gioco è fatto tacitati i risvegli delle coscienze si può continuare a disinteressarsi delle sorti dell’umanità e del pianeta che la ospita.

Come si può invertire la rotta?

Eppure il colpo finale dell’attentato al futuro, la carta di credito del consumatore medio, è anche la chiave per la sua soluzione. In un sistema che vede il titolare del potere ridotto in schiavitù e incapace di avvedersene, ci si dimentica chi possegga in realtà le redini della corsa. Il mercato si orienta in base ai desideri e bisogni della maggioranza dei suoi componenti, cambia in base alle esigenze e si adatta alle sue pretese. Sta a ciascuno scegliere con cura la richieste da rivolgere a cui si ritiene di dover dare la priorità.

Recentemente la cultura dello slow fashion, in controtendenza con il modello attuale, ha preso piede diventando una possibilità concreta. Il vintage diventa un modo per dare un’altra possibilità senza sprechi ad indumenti e calzature. Nasce il mondo dell’usato dove ogni prodotto passando di mano in mano racconta le storie di vita dei suoi proprietari. Da ogni fibra trasmette tutte le sfumature in cui l’individuo può esistere. Sono piccoli indizi di un’umanità che prende coscienza di un problema a molti destinatari, per la prima volta in secoli di folle corsa al progresso da spregiudicata predatrice.

E’ probabilmente solo l’inizio di un lungo cammino tra interessi confliggenti e inesauribile noncuranza per le sorti del mondo. E’ sempre una questione di scelte, passando dall’apatia generale e la critica sterile all’offerta del proprio unico ed indispensabile contributo perché la Terra possa di nuovo indossare tutti i suoi meravigliosi colori.

Sofia Margiotta

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