Nel 2008, l’industria automobilistica si ritrovò sull’orlo del collasso, stritolata da una sovraccapacità produttiva che il mercato non era in grado di assorbire.
La General Motors e la Chrysler LLC sfiorarono la bancarotta e, minacciando la perdita di 1 milione di posti di lavoro, sollecitarono il governo americano a salvare il settore con un intervento statale. L’àncora che Barack Obama lanciò ai giganti dell’automobile consistette in un bailout da 80,7 miliardi di dollari che, tra prestiti e acquisto di azioni, permise di ristrutturare la produzione, aprendo però un buco da 10,2 miliardi nell’erario. A un decennio dalla grande crisi, il rallentamento dell’economia globale e le nuove sfide tecnologiche dell’industria automobilistica stanno nuovamente mettendo a rischio un settore che impiega milioni di persone in tutto il mondo.
L’industria automobilistica si trova oggi schiacciata tra il passato e il futuro.
Se la sovrapproduzione di automobili pesa come un macigno sui profitti, la nuova frenetica competizione nello sviluppo e nella produzione dei veicoli elettrici è un importante fattore di stress per il settore. La Nissan ha reso noto un crollo dei profitti del 94.5% nel primo trimestre del 2019, e sta pianificando di ridurre la propria capacità produttiva del 10% entro il 2022; l’azienda ha inoltre deciso di tagliare più di 10,000 posti di lavoro, anche se non ha precisato quali saranno gli impianti coinvolti.
Ma la Nissan non è l’unica azienda in corso di ristrutturazione.
La Ford ha registrato una flessione delle vendite del 14% a inizio anno e licenzierà 7,000 colletti bianchi, ovvero il 10% del proprio personale. La storica casa di Detroit ha inoltre intenzione di chiudere cinque stabilimenti in Russia, Europa e Brasile, e licenzierà su base “volontaria” 5,000 salariati in Germania. Con questi tagli, che colpiranno anche il Regno Unito, la Ford risparmierà circa 1 miliardo di dollari, solo una piccola parte degli 11 miliardi che ha intenzione di ricavare da future sforbiciate. L’altro gigante statunitense, la General Motors, ha mandato a casa 8,000 operai, mirando alla manodopera non sindacalizzata, e ha chiuso 5 stabilimenti in Nord America.
Un’ulteriore minaccia alle case statunitensi verrà dai dazi che Trump ha imposto al Messico.
L’anno passato, le industrie nordamericane hanno importato dall’indotto messicano componenti per un valore di quasi 60 miliardi di dollari, e le tariffe al 25% rischiano di provocare un aumento medio del prezzo dei veicoli di circa 1,300 dollari, con la prospettiva di una riduzione della produzione in patria del 18%. Questo scenario verrebbe aggravato da eventuali misure difensive da parte del Messico, con effetti dirompenti sull’esportazioni degli Stati Uniti.
Sul versante europeo, mentre nel Regno Unito la produzione di automobili è crollata del 44,5% e in Turchia le vendite sul mercato interno sono diminuite del 45%, la solida e competitiva Germania sta lanciando diversi segnali di stanchezza. I profitti della BMW sono crollati del 78% nel primo trimestre, e ci si aspetta una perdita di 1,6 miliardi di euro nei ricavi della Daimler. Per affrontare gli ingenti costi della svolta verso i veicoli elettrici, le due aziende tedesche hanno stretto un sodalizio strategico, in una mossa speculare a quella della Ford, che collaborerà invece con la Volkswagen.
La crisi del settore auto sta colpendo in modo particolarmente travolgente l’India. Nel primo trimestre la vendita di autovetture è precipitata del 18,4% e la flessione delle vendite su base mensile a giugno è stata la più drastica degli ultimi diciotto anni. Per salvare i profitti, le imprese hanno annunciato la possibilità che si perdano 1 milione di posti di lavoro, all’interno di una filiera che in India occupa 35 milioni di persone.
Le imprese che stanno meglio fronteggiando le sfide della conversione elettrica sono quelle cinesi.
Nel 2017, la Cina ha venduto la metà del totale delle auto elettriche su scala globale. Tuttavia, i costi di sviluppo e produzione dei veicoli elettrici sono molto elevati e la reale portata di questo mercato è ancora tutta da verificare. Una sfida che arriva in un momento difficile per l’economia, anche per quanto riguarda la Cina. Il più grande produttore di automobili cinesi, la Geely, prevede un crollo del 40% dei profitti nella prima metà dell’anno, in un contesto in cui la vendita di automobili nel paese asiatico ha registrato una caduta del 12,4%. Davanti a una flessione del 6% della produzione di auto su scala globale nella prima metà dell’anno, la Cina ha perso più del doppio, il 13%.
La crisi dell’industria automobilistica pone una seria minaccia per l’economia globale, di cui rappresenta uno dei settori chiave.
La corsa verso l’elettrico sta costringendo le aziende a liberare quanto più capitale possibile per competere in questo nuovo mercato, ma potrebbero arrivare al traguardo con il fiato corto. La mole degli investimenti è significativa e lo sbocco delle merci è ancora dubbio, come dimostrano le perdite voraginose della Tesla. Tutti i principali produttori di automobili si stanno precipitando verso la porta del futuro, che è però una porta molto angusta, dalla quale qualcuno potrebbe non riuscire a passare.
Francesco Salmeri