Emotività, razionalità, indignazione. Sono tante le emozioni che ci attraversano, nel momento in cui scorrono davanti ai nostri occhi fotografie come quella di Aylan, il bambino morto, o meglio ucciso, riverso su una spiaggia.
Un anno è scivolato via, sotto i nostri ponti, è corso come nuvole impazzite sopra le nostre ignare teste.
E’ passato un anno dal momento in cui questa foto faceva il giro del web, disseminando ovunque panico ed indignazione.
L’aria che si respirava un anno fa era di certo satura di un razzismo dilagante, e l’atmosfera xenofoba premeva sui nostri polmoni, rendendoci difficile anche un semplice automatismo, come la respirazione.
La morte di un bambino è già di per sé un fatto terribilmente tragico.
Ho avuto modo di lavorare un breve periodo per Unicef, la più grande organizzazione al mondo che si occupa della tutela della prima infanzia; per cui so bene che la morte di un bambino, l’ennesima morte di un povero innocente, non è altro che una continua conseguenza dell’intera politica mondiale. La questione politica che “mal funziona” è quella del libero mercato, del capitalismo, del consumismo.
Sappiamo molto, ma molto bene che molte morti avvengono ogni giorno per cause facilmente prevenibili; per evitare queste il mondo avrebbe già ad oggi tutti gli strumenti necessari. Eppure siamo nel 2016, e sono ancora 16mila, secondo gli ultimi dati dell’Unicef, i bambini che si spengono ogni santo giorno.
Ma la mia non vuole essere affatto una campagna a favore di un’organizzazione no profit. Tutt’altro.
Voglio parlare dell’emotività contrapposta alla razionalità. Ecco il punto. Credo sia questa la chiave.
Indignarsi di fronte ad un fatto simile è naturale, ed è sintomo della nostra capacità, nonostante tutto, di restare umani. E’ l‘emotività il sentimento che ci separa dal mondo animale?
Non posso neanche immaginare cosa possa passare nella testa di un bambino che muore. Non so quali siano i suoi ultimi attimi di vita, non ho la possibilità di sapere se realizza quello che sta accadendo, o chiude semplicemente gli occhi sul mondo, abbandonando a poco a poco la vita, accompagnato dalla stessa ingenuità ed innocenza, con la quale è venuto al mondo. Non so se chiama la mamma, né se capisce esattamente quello che ha davanti, la vita che gli spettava di diritto, e che non vivrà.
Indignazione, si.
Non provammo forse la stessa cosa quando in Israele ci fu una strage analoga di bambini palestinesi su una spiaggia? E quando ogni giorno perdono la vita altrettanti bambini sotto i bombardamenti? O addirittura tutti i bambini innocenti che si sono spenti nelle camere a gas, durante il nazismo?
Indignazione, sempre indignazione.
Non è di certo un sentimento nuovo. Ma tutto questo non basta. Non basta più.
Non basta perchè il razzismo inconsapevole continuerà ad avere la meglio, e proveremo indignazione anche domani, quando i media ci mostreranno l’immagine di una donna violentata da un migrante.
Indignazione, la stessa indignazione, si.
E Aylan sarà già stato dimenticato, seppellito sotto la sabbia della confusione mediatica. E ci verranno anche a dire che lo stesso bambino sarebbe di certo diventato un delinquente, un ladro, un assassino. Ci faranno addirittura credere che la morte, in fondo in fondo, non è sempre un male.
Arrivati a questo punto, che differenza c’è tra noi e i nazisti? Chi siamo noi per portare a giudizio, chi siamo noi per scegliere chi merita la vita e chi no?
Ancora oggi non esiste un rapporto diretto tra migrazione e criminalità, mettiamocelo bene in testa.
Ma la cosa più importante da considerare è che la migrazione è un fenomeno sociale, non una scelta individuale. Non è una colpa, né tanto meno una limitazione. E’ la società che dovrebbe far contro all’ondata oceanica del flusso migratorio, e modellarsi civilmente secondo i bisogni dell’uomo.
“Nessun muro, schedatura, repressione, respingimento, fermerà il flusso migratorio, perchè esso è prodotto dalla disuguaglianza, prodotta a sua volta dal sistema, il nostro sistema capitalista.”
E quanto è davvero possibile distinguere tra un migrante regolare, con il permesso di soggiorno,e un rifugiato, uno sfollato, scappato dalla guerra e dalla fame? Chi sono io per affermare che costui non merita una possibilità? Tentare di respingere i flussi migratori è come tentare di arrestare l’acqua di una cascata, spingendola verso l’alto. Ci finirà addosso, annegandoci.
L’indignazione non basta. Che senso ha indignarsi per un mondo che sta affondando, se noi non facciamo nulla per mantenerlo a galla?
Ed ecco un’ultima domanda: cosa ci suggerisce l’immagine di un bambino morto su una spiaggia?
Forse l’unica risposta accettabile sarebbe il silenzio, un rigoroso e rispettabile silenzio, almeno di fronte alla morte di un essere umano.
Questa fotografia ha fatto il giro del web. L’anima di questo bambino è stata profanata dalle nostre parole, dalle nostre polemiche, dalle nostre inutili riflessioni.
La provocazione ha funzionato? Assolutamente si. La fotografia di Aylan è stata usata anche come copertina di “Il manifesto”, accompagnata dal titolo “Niente asilo”. Semplice gioco di parole? Forse no.
La realtà è che questa immagine racconta la morte di migliaia di persone, ha il sapore della morte, un corpicino adagiato al suolo, inerme, eppure così composto, anche di fronte ad essa, appunto, la tanto temuta morte. Parla di un bambino, e di milioni di altri che si sono ritrovati fagocitati da una macchina da guerra più grande e possente di loro. Racconta una guerra infinita, dove il male regna sovrano, e distrugge non solo case, infrastrutture, ma spezza vite intere, spegne infinite speranze, con una valanga di sangue. Il destino e l’infamia della guerra non risparmia nessuno, e ha voluto imprigionare nell’immagine di Aylan un qualcosa di eterno.
Un anno è scivolato via, sotto i nostri ponti, corso come nuvole impazzite sopra le nostre ignare teste. E’ passato un anno dal momento in cui questa foto faceva il giro del web, disseminando ovunque panico ed indignazione. E’ passato un anno, ma un oceano di dolore sta continuando ad infrangersi sulle nostre spiagge. Colpisce donne, uomini, bambini, anziani, senza risparmiare nessuno. Il male sta continuando a mietere vittime, giorno dopo giorno, come un’infinita macchina da guerra. E’ trascorso un anno, e l’immagine di Aylan, ora, ha gli occhi di altri milioni di bambini che, esattamente come lui, hanno perso la vita lungo le nostre coste.
Che ci piaccia o no, il mondo sta annegando, e siamo tutti, ma proprio tutti, in parte responsabili di questo.
Elisa Bellino
Grazie