India: dopo la depenalizzazione dei “rapporti sessuali innaturali” potrebbe arrivare il turno del riconoscimento del matrimonio omosessuale. Dhananjaya Y. Chandrachud, presidente della Corte Suprema indiana, chiede che tutte le petizioni di questo tenore siano presentate congiuntamente all’alta corte. Il 18 aprile il verdetto
Solo cinque anni fa in India veniva fatto un grande passo avanti a livello politico e sociale verso l’accettazione, l’uguaglianza ed il riconoscimento dei diritti della comunità LGBTQIA+. Il 6 settembre 2018 infatti, la Corte Suprema indiana cancellò la sezione 377 del Codice penale indiano, la quale corrispondeva ad una norma di era coloniale britannica che etichettava i rapporti omosessuali come “offese contro natura”. In questo modo, si decise che gli “atti sessuali innaturali” non avrebbero costituito più una forma di reato. Questo passo avanti fu fortemente influenzato dalla figura di Dhananjaya Y. Chandrachud, presidente della Corte Suprema in India dal 2022 e giudice della stessa dal 2016, famoso per le sue posizioni liberali. Egli ha infatti fatto parte di collegi che hanno riconosciuto il diritto alla privacy, depenalizzato gli “atti sessuali innaturali”, concesso alle donne il diritto all’aborto indipendentemente dallo stato civile e ora è una figura importante all’interno del dibattito sul riconoscimento del matrimonio omosessuale.
L’influenza positiva di Dhananjaya Y. Chandrachud
In particolare, a proposito della decisione di depenalizzare l’omosessualità, il giudice Dhananjaya Y. Chandrachud disse: “È difficile correggere un errore della storia. Ma possiamo impostare il corso per il futuro. Questo caso coinvolge molto più della depenalizzazione dell’omosessualità. Riguarda le persone che vogliono vivere con dignità”, evidenziando una linea di pensiero basata su un continuo miglioramento delle condizioni delle persone appartenenti alla comunità queer, fino ad arrivare ad una vera e propria uguaglianza e parità basata sugli stessi diritti. Questo avvenimento, inoltre, nonostante abbia incontrato comunque delle opposizioni soprattutto all’interno degli ambienti della chiesa e da parte del Governo conservatore indiano, è stato il trigger atteso da molto, troppo tempo, per permettere alla comunità omosessuale indiana, in particolare ai gruppi di attivisti, di avanzare richieste di ulteriore emancipazione e miglioramento della condizione della minoranza a cui appartengono. In questi ultimi tempi, infatti, vari tribunali locali hanno ricevuto numerose petizioni riguardanti la legalizzazione ed il riconoscimento del matrimonio omosessuale da parte di coppie appartenenti alla comunità queer, matrimonio al momento non permesso in India in quanto vietato dallo Special Marriage Act dal 1954.
Le numerose petizioni ed il “Marriage Project”
Negli ultimi mesi i ricorsi presentati da coppie di persone omosessuali, depositati per chiedere il riconoscimento di queste unioni, sono diventati particolarmente numerosi. Tra questi vi sono ad esempio il reclamo di Supriyo Chakraborty e Abhay Dange, coppia gay che ha richiesto appunto di estendere il diritto al matrimonio ad ogni cittadino del Paese. O la petizione di un’altra coppia, formata da Parth Phiroze Mehrotra e Uday Raj, i quali sottolineano come sia una violazione della legge costituzionale impedire alle persone omosessuali di sposarsi, in particolare facendo riferimento all’articolo 15, che vieta le discriminazioni basate su religione, etnia, casta, genere o qualsiasi altra condizione. Estremamente importanti sono inoltre le figure delle legali attiviste Arundhati Katju e Menaka Guruswamy, promotrici e sostenitrici di un quadro giuridico chiamato “Marriage Project” diretto a rendere costituzionalmente legittima l’unione in matrimonio tra persone dello stesso genere.
Il Governo di Narendra Modi contro il riconoscimento del matrimonio omosessuale
A questo proposito, la Corte Suprema indiana ha raggruppato le numerose petizioni provenienti da diversi tribunali locali di vari stati ed ha richiesto al governo centrale e all’Avvocato di stato di prendere una decisione a riguardo. In particolare, proprio il giudice della Corte Suprema Dhanjaya Y. Chandrachud, ha chiesto che tutte queste petizioni siano presentate congiuntamente all’alta corte. Nonostante però l’aria di cambiamento, resta comunque alta la voce di chi si oppone nei confronti di questa tematica. Il Governo conservatore, infatti, guidato dal primo ministro nazionalista Narendra Modi, non ha alcuna intenzione di scendere a compromessi ed ha inoltre dichiarato che il matrimonio è accertato dalla legge, religiosamente e socialmente “solo tra un uomo biologico e una donna biologica e qualunque altro tipo di variazione deve essere votato dai legislatori e non dai tribunali“. Gli Indù di destra sostengono infatti che la magistratura non può permettersi di decidere per la società ed il ministero della giustizia indiano rimane dell’idea che il riconoscimento del matrimonio è un qualcosa che deve continuare ad essere esclusivamente una prerogativa delle coppie eterosessuali.
Speranza per un futuro egualitario
Indipendentemente dal risvolto che questa questione avrà e dalla decisione che la Corte costituzionale indiana delibererà il 18 aprile, è evidente come in India si respiri da tempo un’aria più liberale, in cui i diritti delle minoranze vengono presi effettivamente in considerazione e in cui, passo dopo passo, i piani alti prendono delle decisioni dirette ad inserire sempre più all’interno della società gruppi marginali che, fino a poco tempo fa, erano fortemente stigmatizzati. Per questo motivo, pur non avendo la sicurezza del riconoscimento del matrimonio omosessuale da parte della magistratura e del parlamento indiani, è comunque da apprezzare il fatto che che si sia instaurato un dibattito pubblico e legislativo a riguardo, in quanto questo è inevitabilmente segno di cambiamento, in direzione di un futuro all’insegna di una vera dell’uguaglianza. Ora non ci resta solo che sperare.