Nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 2023, a pochi metri dalle coste calabra, una barca con a bordo 180 migranti si arenava su una secca, spezzandosi e provocando la morte di 94 persone, tra cui 35 minori. Numerosi furono anche i dispersi.
La Procura di Crotone ha oggi chiuso l’inchiesta sul naufragio di Cutro, portando all’individuazione di sei indagati per naufragio colposo e omicidio colposo plurimo.
Il naufragio di Cutro e la strage di migranti
È trascorso circa un anno e mezzo dal naufragio che lo scorso anno si consumò a poche centinaia di metri dal litorale calabro. Il caicco soprannominato “Summer Love”, una barca in legno di 25 metri, era partito dalla Turchia e si era arenato nella notte su una secca davanti alla spiaggia di Steccato di Cutro nel crotonese.
La maggior parte dei migranti presenti sulla barca era di origine afghana e siriana. La strage aveva avuto una particolare risonanza sui media italiani ed europei, forse proprio per la vicinanza alle coste italiane, che ha reso queste morti ancora più assurde e inaccettabili. La popolazione locale si era mobilitata durante la notte per soccorrere i superstiti e recuperare i cadaveri restituiti lentamente dal mare. Emblematico della tragedia è il video di Vincenzo Luciano, pescatore che dopo il naufragio era accorso sulla spiaggia sperando di trarre in salvo persone ancora in vita e finendo per recuperare decine di cadaveri, anche di numerosi bambini. A un anno di distanza, in occasione della ricorrenza del naufragio, ha dichiarato
«C’è gente che ancora non è riuscita a fare un bagno al mare, io sono il primo. Ho messo i piedi in acqua e ho detto a mia moglie, mi devi scusare, ma non ce la faccio. Mi vengono in mente quei bambini con gli occhi aperti e sono scappato via. […] Non si può morire a 60 metri dalla costa. Io domani chiedo scusa a tutti i parenti. Mi inginocchio e da italiano chiedo scusa a tutti i parenti».
Chiusa l’inchiesta sul naufragio di Cutro
Non si può morire a 60 metri dalla costa. Questo fatto ha portato a un’inchiesta che si è conclusa oggi, indagando sei persone: quattro finanzieri (Giuseppe Grillo, Alpero Lippolis, Antonino Lopresti, Nicolino Vardaro) e due militari della Guardia costiera (Francesca Perdito e Nicola Nania) per naufragio colposo e omicidio colposo plurimo per i ritardi nei soccorsi alla barca carica di migranti in difficoltà.
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Poco dopo la strage era stata portata avanti un’inchiesta da parte di Lighthouse Reports che aveva mostrato come sia le autorità italiane che quelle di Frontex fossero consapevoli che la barca era in condizioni di estrema difficoltà e che era stata identificata addirittura sei ore prima del naufragio. Le prime segnalazioni risalgono infatti intorno alle 22.30 del 25 febbraio, ma il naufragio è avvenuto solo alle 4 del mattino del 26. Nessuno è mai intervenuto e, a posteriori, le varie autorità si sono limitate a scaricarsi a vicenda le colpe.
Per tutti questi motivi, il sostituto procuratore della Repubblica Pasquale Festa ha giudicato che «la strage poteva essere evitata» e che il ritardo nei soccorsi e la negligenza di chi sarebbe dovuto intervenire hanno causato un così elevato numero di vittime e dispersi a poche decine di metri dall’arrivo, dopo ore di navigazione che dalla Turchia li avrebbe finalmente portati alle agognate coste europee. Il pm ha dichiarato che gli indagati avevano
«tutti e indistintamente il prioritario, fondamentale e ineludibile obbligo di salvaguardare la vita in mare, anche rispetto a condotte imprudenti, negligenti e imperite degli scafisti nonché di tutela dell’ordine pubblico. Se fossero stati adottati comportamenti diligenti, il personale dello Stato avrebbe, una volta acquisito a vista il target, constatato la presenza di almeno 180 persone a bordo del caicco Summer Love, numerose delle quali neonate e minori, con conseguente applicazione del piano Sar, impedendo in tal modo che il caicco fosse incautamente diretto dagli scafisti verso la spiaggia di Steccato di Cutro e in prossimità dell’approdo si sgretolasse, urtando contro una secca a seguito di una manovra imperita del timoniere».
La strage sulla rotta migratoria via mare tra Turchia e Calabria
L’anno scorso, la drammatica strage di Cutro aveva segnato l’inizio di un anno letale: 3041 i morti e i dispersi in tutto il Mediterraneo, un aumento del 60% rispetto al 2022.
La rotta su cui è avvenuto il naufragio di Cutro è una rotta migratoria minore che dalla Turchia porta via mare alle coste italiane, in particolare in Calabria o in Puglia. Questa rotta è intrapresa soprattutto da persone in fuga da Afghanistan, Siria, Pakistan, Iran e Iraq, che la preferiscono alla rotta balcanica che dalla Turchia via terra entra in Grecia o in Bulgaria.
Nonostante sia meno percorsa e meno nota di quella del Mediterraneo centrale, è una rotta estremamente mortifera. Risale infatti al 17 giugno un altro naufragio avvenuto a 120 miglia dalle coste calabresi proprio sulla stessa rotta della strage di Cutro. 67 i migranti a bordo dell’imbarcazione, solo 12 le persone tratte in salvo. Continuano quindi le morti nel Mediterraneo, continuano le negligenze nei soccorsi, il rimpallo delle responsabilità e l’impedimento dei soccorsi delle ONG in mare.
La chiusura dell’inchiesta sulla strage di Cutro è un passo verso l’ottenimento di una giustizia necessaria per riscattare la memoria delle vittime e dei dispersi, importante per i parenti in attesa di risposte. E’ infatti fondamentale iniziare a individuare le responsabilità di tutte queste morti che, come sottolineato dal pm di Crotone, potevano essere evitate.
Sui confini europei si continua a morire
Non uccide il mare, non uccidono le montagne, i boschi. Uccidono le politiche anti-migratorie europee, l’esternalizzazione delle frontiere, i finanziamenti ai governi tunisino e libico, stati in cui i migranti vengono sistematicamente deportati nel deserto, imprigionati nelle carceri. Uccide la criminalizzazione della solidarietà e la sistematica approvazione di leggi e decreti che limitano la libertà di movimento, condannando alla morte uomini, donne e bambini che continueranno a scappare da guerre o situazioni precarie e che in quell’Europa sempre più chiusa in se stessa vedono una promessa di un futuro migliore.