Cosa è l’arte?
Non ci sono molte parole per descriverla: solamente sensazioni, e forse eventi che ci portano a sentircela sulla pelle. Ci sono capolavori che restano nella penombra del mondo; nessuno sa della loro esistenza, eppure sono lì, a colmare di bellezza le nostre vite.
Ci sono invece capolavori che restano immortali e di cui vorremmo anche solo una parte, per conservare nelle nostre tasche spesso vuote quello che ci resta del potere del mondo. Ci siamo riempiti la testa di arte, in questi secoli. E siamo anche diventati più altruisti, meno cinici, più credenti in una realtà diversa, fatta solo di colori.
Quello che racconterò oggi è però purtroppo la storia di un’arte che è andata perduta, che non ci ritroveremo mai più ad ammirare e che resterà solamente in una memoria fragile ed offuscata.
L’incendio nella Cattedrale di Nantes e i suoi danni
Qualche giorno fa, abbiamo ricevuto la notizia dell’incendio che ha avuto luogo nella Cattedrale di Nantes, in Francia.
Tra i vari danni, come l’organo, c’è stato anche quello su “Saint Clair che guarisce i ciechi”, risalente all’800, del celebre pittore francese Hippolyte Flandrin. Questa opera è andata distrutta e, nonostante i tentativi per recuperare qualcosa, l’incendio, per il quadro, è stato fatale e la tela è andata completamente a pezzi.
Un’arte, dunque, che non potrà mai più essere goduta, la cui bellezza resta però nei ricordi di chi ha potuto ammirarla.
Chi era Hippolyte Flandrin
Hippolyte Flandrin, pittore neoclassicista, è stato allievo di Pierre Révoil e di Ingres. Lo rese celebre il Prix de Rome che vinse nel 1832 e che lo portò a trascorrere due anni a Roma e a godere della sua eterna bellezza. Tornato in Francia, si dedicò alla pittura storica e poi ai temi dell’arte religiosa.
Per questo, realizzò affreschi nell’Abbazia di Saint-Germain-des-Prés e nella chiesa di Saint-Vincent-de-Paul a Parigi. La sua opera più famosa è però “Giovane nudo seduto alla riva del mare” che ora si trova al Museo del Louvre.
Nel 1853, diventò membro dell’Académie des beaux-arts e, nel 1863, per problemi di salute si trasferì nuovamente in Italia, in cui contrasse il vaiolo e morì l’anno seguente. E’ stato sepolto a Parigi, nel cimitero del Père Lachaise.
“Saint Clair che guarisce i ciechi“: la sua storia
“Saint Clair che guarisce i ciechi” risale all’anno 1835: Flandrin lo dipinse durante il suo soggiorno alla Villa Medici di Roma quando, appassionato di opere religiose, decise di dedicarlo all’episodio della “Guarigione del cieco nato” raccontato nel Vangelo. Il dipinto è stato poi esposto a Parigi all’Ecole Des Beaux Arts fino a giungere nella Cattedrale di Nantes.
Si trattava dunque della prima opera religiosa di uno dei più grandi pittori religiosi del XIX secolo. Fortunatamente, gli schizzi e i disegni dell’opera sono stati conservati, e nell’archivio del Museo del Louvre vi è anche una copia realizzata dal fratello di Hippolyte, Paul Flandrin. Ma questo, ovviamente, non riuscirà mai a sostituire il dipinto originale.
I colori dell’opera sono candidi, quasi come se si trattasse di un’ovatta colorata; ma sono gli sguardi delle persone a restare maggiormente impressi. Gli occhi, a volte alti e a volte bassi, sanno dove guardare e lo fanno con una spontaneità e leggerezza impressionante. Alcuni di loro sono stupiti, altri spaventati, altri hanno la serenità in volto. E poi, c’è Saint Clair: guarda in alto alla ricerca di Dio e gli parla in un modo leggero. Il miracolo si compie: il cieco accovacciato per terra è guarito, con le mani in preghiera e con il volto rivolto verso il Santo. E in basso, il bastone è appoggiato sul pavimento, come se volesse dirgli addio. Sullo sfondo, il cielo sembra vero e le poche nuvole che compaiono appaiono quasi come se volessero parlarci. Ogni cosa è al posto giusto e ogni cosa è stata fatta per noi spettatori.
L’arte continua
E’ un’opera dunque che possiamo rivedere solamente guardando fotografie, o leggendo parole di chi l’ha vista. Ma la sua bellezza, il potere che essa inculcava sul mondo, la magia che emanava – tutto quello – non tornerà mai più.
E l’Arte – quella vera – ha perso un suo piccolo frammento, e noi con lei. In un modo così orrendo che quasi non riusciamo a guardare altrove. Per ora e forse per un attimo solo.
Perché l’Arte continua a vivere dentro di noi e in tutto quello che sogniamo.
Sempre e ogni giorno.
Stefania Meneghella