Per la quarta volta consecutiva, dal dicembre 2015, le elezioni in spagna non riescono ad assicurare la formazione di una maggioranza effettiva.
Ancora una volta i risultati delle elezioni in Spagna mostrano uno scenario politico in cui, con moltissima probabilità, non sarà possibile la formazione di una forza di maggioranza in grado di guidare il paese. Ancora una volta, quasi ricalcando il risultato ottenuto ad aprile, i socialisti di Pedro Sanchez si confermano la prima forza del paese (28%). Le previsioni iniziali, invece, propendevano verso un risultato ben più deludente. Appesantito dalla presenza di un nuovo partito di sinistra: Màs Paìs. Un movimento formatosi nel corso del settembre 2019, a seguito del fallimento delle trattative tra i Socialisti e Podemos, al fine di formare una maggioranza.
Il peso che le previsioni avevano assegnato a Màs Paìs, alla fine, si è rivelato sovrastimato, mentre Sanchez dimostra di poter vantare una certa stabilità elettorale. Tuttavia, nonostante la conferma come primo partito nazionale, i socialisti sanno bene di non poter festeggiare. E’ infatti probabile che la colpa e il danno d’immagine, per l’impossibilità di formare un nuova alleanza di governo, ricadranno interamente su di loro finendo col penalizzarli in futuro.
I veri vincitori di queste elezioni in Spagna, i vincitori simbolici o morali, sono infatti i partiti di destra. I popolari riescono a raggiungere il 20%, confermandosi come seconda forza politica della nazione. Intanto Vox, il partito di estrema destra che s’ispira alla vecchia ideologia franchista, è riuscito a raddoppiare i suoi seggi raggiungendo il 15%. Un segnale preoccupante che mostra come, anche in Spagna, la disillusione e talvolta l’ostilità nei confronti della politica stia spingendo sempre più persone tra le fauci dei partiti estremisti o anti-sistema.
Le possibilità che possa formarsi una maggioranza di destra, però, sono pressoché nulle.
I voti guadagnati da Vox e dai Popolari provengono in larghissima misura dal partito Liberale che, dopo esser quasi diventato la seconda forza del paese, ad aprile 2019, viene ridimensionato ad un misero 7%. I voti totali guadagnati dalla destra, alla fine, sono circa 150, a fronte dei 176 necessari per la formazione di una maggioranza accettabile. Anche a sinistra, però, non sono possibili coalizioni in grado di assicurare la maggioranza. L’unica possibilità effettiva per la formazione di un nuovo governo, quindi, risiede nel possibile dialogo tra Socialisti e Popolari.
Questa unione, però, appare quasi del tutto improbabile. A complicare drasticamente lo scenario vi sono, poi, i partiti regionali, come quello basco e quello catalano, che secondo le previsioni avrebbero dovuto soffrire l’erosione messa in atto da socialisti e popolari. I partiti regionali, però, nonostante le attese, son riusciti a mantenere intatto il loro piccolo nucleo elettorale. Segno del fatto che solo difficilmente i partiti del “centro“, riescono a incontrare i desideri, le richieste e le speranze degli abitanti della periferia nazionale. Il risultato è dunque uno scenario politico frammentato e diviso.
Per la formazione di una maggioranza, infatti, sarà in ogni caso essenziale il sostegno di molti partiti regionali. Primi tra tutti i due partiti catalani (uno nazionalista e uno socialista). Questo fatto implica che i vari partiti saranno costretti ad affrontare di petto il problema dell’indipendenza catalana e, al fine di raccogliere il consenso dei partiti in questione, saranno costretti a promettere alcune concessioni.
Vox e i Popolari, però, notoriamente favorevoli al centralismo, solo in casi estremi potrebbero accettare di far qualche concessione all’indipendentismo catalano.
Unico partito in grado di ergersi a negoziatore con queste forze politiche, quindi, sembra esser quello Socialista. Se Sanchez dovesse cominciare una trattativa con i catalani, però, si alienerebbe qualsiasi possibilità di coalizione con i Popolari di destra. Le due scelte sono quindi autoesclusive. Da un lato sarebbe possibile coalizzarsi con i vari partiti regionali, al prezzo di pesanti concessioni, per formare una maggioranza variegata e, probabilmente, instabile.
Dall’altro lato, invece, è sempre possibile un tentativo di coalizione con i Popolari, al prezzo di un nuovo rafforzamento del centralismo che, di sicuro, avrebbe come immediato risultato il peggioramento degli umori all’interno dei partiti regionali. Tutte le forze politiche, quindi, si trovano in stallo. Ogni soluzione possibile appare quasi sempre “troppo rischiosa” mentre, almeno per il momento, sembrano non esistere vere e proprie maggioranze auspicabili. Resta solo da attendere, per vedere come si muoveranno i vari partiti.
Andrea Pezzotta