Non è una novità: la Polonia è un paese in cui l’omofobia rende libere le discriminazioni. Eppure, i soldi dell’Unione Europea, magicamente, hanno permesso la trasformazione della città polacca di Świdnik da anti-LGBT, ad anti-discriminazione.
In Polonia la città di Świdnik faceva parte delle cosiddette “LGBT- Free Zone”.
Per comprendere la natura di queste specifiche aree sul territorio polacco, necessario è compiere qualche passo indietro.
Le LGBT- Free Zone in Polonia: l’istituzionalizzazione dell’omofobia
In Polonia l’istituzionalizzazione di zone anti-LGBT ha inizio nel 2019, quando Varsavia inizia ad autorizzare villaggi, comuni e intere regioni ad autoproclamarsi “LGBT – Free Zone”. Quest’ultime altro non erano che aree in cui vigeva l’impegno costante nel combattere e tenere ben distante la dilagante e infamante “ideologia LGBT”.
Una vera e propria caccia agli omosessuali, motivata anche da ragioni cattoliche e perpetuata da anni. Non a caso, in Polonia la repressione della comunità LGBTQ+ ha continuato ad operare indisturbata, tanto da arrivare, nel febbraio 2022, all’approvazione di una legge anti-LGBTQ+ per le scuole, definita dagli stessi attivisti polacchi un “agghiacciante censura di Stato”.
E l’Unione Europea?
Soltanto nel febbraio 2022 l’Unione Europea ha iniziato ad agire, soprattutto verso quei Paesi UE – come Polonia e Ungheria – che parevano non intenzionate a rispettare le regole democratiche previste dai Trattati dell’Unione, andando incontro ad possibile blocco di tutti i finanziamenti. È stato proprio dinnanzi al timore di perdere i soldi che, in Polonia, il cambiamento ha avuto inizio.
La trasformazione della città polacca di Świdnik: da zona anti-LGBT a città anti-discriminazione
La città di Świdnik è stata una delle prime città ad autoproclamarsi “LGBT- Free Zone”. Una risoluzione approvata nel 2019 con i voti dei consiglieri di Legge e Giustizia – PiS – il partito politico attualmente detentore del potere a Varsavia.
Il PiS – un partito integralista cattolico fondato dai gemelli Kaczyński nei primi anni 2000 – inizierà sin da subito una dura propaganda omofobica sul territorio polacco, fomentando ulteriormente odio e discriminazioni. A tal proposito, prima ancora dell’Unione Europea, a intervenire sarà un Paese non UE, la Norvegia.
Nel 2021 il governo norvegese deciderà di non sovvenzionare i territori polacchi che avevano approvato le risoluzioni anti-LGBT, difatti, il consiglio comunale di Świdnik perderà ben 8,5 milioni di euro di fondi. In seguito, a muoversi nella stessa direzione sarà anche la Commissione Europea, la quale cercherà di impedire che i territori anti-LGBT ricevessero fondi comunitari.
La paura di pendere fondi avrà la meglio: nel 2021 la città di Świdnik inizierà il suo cambiamento rimuovendo la menzione esplicita “ideologia LGBT” dalla risoluzione del 2019, mentre nel dicembre 2022 il consiglio comunale approverà una nuova dichiarazione che promuoverà la “tutela dei diritti e delle libertà fondamentali”.
In Polonia si inizia a urlare “l’amore è amore” con cartelli arcobaleno: è davvero così facile?
Ciò che sta accadendo a Świdnik ha sicuramente una grande importanza, considerando le discriminazioni che la comunità LGBTQ+ ha dovuto – e continua – a sopportare da anni. Tuttavia, inevitabile è evidenziare come il cambiamento sia stato causato della paura di perdere milioni di euro in fondi europei, piuttosto che da una reale comprensione delle problematiche legate alla comunità LGBTQ+. È chiaro come al di sotto ristagnino questioni di interesse, del tutto distanti da un reale allontanamento da atteggiamenti discriminatori. Secondo lo stesso quotidiano locale Nowy Tydzień, i consiglieri comunali del PiS avrebbero confermato che l’obiettivo del nuovo documento sarebbe stato quello di garantire a Świdnik i fondi dell’Unione Europea.
In un Paese in cui l’omofobia ha ampio spazio d’azione, la comparsa di un cartello arcobaleno in cui si professa che “l’amore è amore” ha il solo effetto di far apparire un’intera storia di discriminazione convenientemente abbellita da un lieto fine.
Ciò che si sta compiendo, dunque, è un microscopico passo avanti. La strada da compiere è ancora lunga, irta di compromessi, in cui l’Unione Europea dovrà continuare a svolgere un ruolo mediatore, discusso, controverso, ma fondamentale per quei diritti ancora tristemente non riconosciuti.