In nome del papa re: la commedia racconta la Storia

Pio IX, papa e re dello Stato pontificio, è ancora sul trono: siamo nel 1867, in pieno Risorgimento, poco prima della disfatta di Garibaldi a Mentana. Gli zuavi pattugliano le strade, la repressione continua. In questo clima, Monsignor Colombo (Nino Manfredi) decide di dar le dimissioni: è stato per anni un servo fedele del soglio, giudice della Sacra Consulta ma a differenza dei suoi colleghi lui sa che per lo Stato della Chiesa la fine è vicina.

Il colpo di grazia gli è dato da una sua vecchia conoscenza, la contessa Flaminia (Carmen Scarpitta). Nel ’49, durante il periodo della Rivoluzione e della Repubblica romana, i due si erano amati nel tempo di una notte.

Da quel rapporto era nato, senza che lui sapesse, un figlio, ora sul banco degli imputati per un attentato ad una caserma. Morti 23 zuavi, i tre cospiratori sono subito trovati dalla polizia e il ragazzo è portato alle Carceri Nuove. L’influenza del monsignore lo fa scarcerare ma i sediziosi sono destinati a morire, anche se non tutti per mano del boia.

Film pieno di ideologia, gestita con brio e rimandi costanti alla matrice, cioè il contesto che lo generò: il post Sessantotto, periodo denso di disillusione come pochi altri.

Luigi Magni lo scrisse e diresse condensando e romanzando la storia del processo Monti e Tognetti del 1867, raccontato dal romanzo di Gaetano Sanvittore. Celebre è il suo uso del vernacolo che dà al personaggio di Nino Manfredi la simpatia e la scioltezza per dominare le scene, toccando ora i sentimenti ora la coscienza politica.



Magni trasmette al film la sua malinconia, il peso dell’ideologia tradita e lo fa mischiando alla Storia gli stratagemmi narrativi del melò popolare: il figlio ritrovato, lo scontro generazionale, la costruzione della figura sicura, focosa del giovane ribelle e la gelosia del marito della contessa.

La sua Roma è tutta ricostruita in studio o a Montepulciano in Toscana in una luce livida, lontana dalla pastosità delle immagini di Nell’anno del signore (1968). Tutta in nero, nella notte della fine, la Roma papalina è piccola, stretta, grigia: non ha ancora conosciuto i grandi sventramenti sabaudi.

Film semplice ma ben costruito, vale soprattutto per l’ambientazione, i suoi attori (per la maggior parte doppiati, come la Scarpitta che ha la voce di Vittoria Febbi) tra cui emergono il protagonista, fieramente ciociaro e Carlo Bagno che interpreta il perpetuo Serafino. Da ritrovare e apprezzare per il suo gusto agrodolce, la sua capacità di miscelare dramma storico e commedia con grande gusto teatrale.

Antonio Canzoniere

 

 

 

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