Libia: la Corte penale internazionale emana 4 mandati d’arresto per crimini contro l’umanità

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È l’11 maggio e in un discorso alle Nazioni Unite, Karim Khan, procuratore della Corte penale internazionale, dichiara di aver emesso 4 mandati d’arresto per crimini contro l’umanità e di averne richiesti altri due.

4 mandati d’arresto per crimini contro l’umanità

Dal settembre scorso il Procuratore della Corte penale internazionale Karim Khan, in collaborazione con una squadra investigativa, ha indagato su numerosi crimini commessi in Libia e le indagini hanno condotto all’emissione di 4 mandati d’arresto per crimini contro l’umanità e alla richiesta di altri due.

La motivazione che ha portato il Consiglio a deferire la questione non è stata la politica o il potere, ma il bisogno di giustizia per i bambini, le donne e gli uomini. Negli ultimi sei mesi sono stati compiuti progressi significativi grazie a indagini più dinamiche e mirate.

Si parla di crimini contro i migranti, tratta e contrabbando di esseri umani, schiavitù, tortura ed estorsione, abusi sessuali e schiavitù sessuale e in pochi mesi sono stati trovati più di 500 elementi di prova (audio, video, satellitari, testimonianze). Secondo il procuratore, il risultato è un segnale incoraggiante e indica un significativo progresso nelle inchieste per i crimini contro l’umanità in Libia.

Una stretta collaborazione tra la Corte penale internazionale e le autorità nazionali libiche sta finalmente agendo nel concreto e non solo a parole. La collaborazione è fondamentale, sottolinea il procuratore, per assicurare giustizia alle vittime: passare dalle parole ai fatti è un elemento chiave per non far sentire le vittime abbandonate.

I mandati sono un passo importante nel rispetto dei diritti delle vittime e dei sopravvissuti, perché le loro vite e ciò che hanno subito sono importanti per noi. […] Quando lavoriamo con le persone colpite, quando lavoriamo con le autorità nazionali, ovunque ci troviamo nel mondo, la giustizia diventa qualcosa di più tangibile. Diventa meno distante e meno teorica. […] Penso che sia ciò di cui abbiamo bisogno al momento. E forse, la cosa più importante, possiamo guardare le vittime senza provare vergogna e sentire che finalmente stiamo facendo del nostro meglio per garantire il loro diritto alla giustizia e alla responsabilità.

La situazione dei diritti umani in Libia

Secondo la Missione d’inchiesta indipendente delle Nazioni Unite sulla Libia la situazione dei diritti umani nel Paese si sta deteriorando. La Libia è uno stato autocratico e non c’è un’atmosfera favorevole all’instaurazione di una vera democrazia. Non a caso sono spesso negati i diritti di riunione, associazione ed espressione. Attivisti o membri delle opposizioni politiche vengono sistematicamente repressi.

Sono state rapite decine di operatori della società civile e attivisti, accusati di diffondere l’ateismo e l’omosessualità e di attaccare i “valori” libici. Sono state rapite, arrestate e/o minacciate decine di attivisti e giornalisti, per aver esercitato i loro diritti alla libertà d’espressione e riunione pacifica. Sono state disperse con la forza le persone che partecipavano a proteste pacifiche contro la presa del potere e il deterioramento della situazione economica.

Nel tempo sono stati documentati moltissimi crimini di guerra e crimini contro l’umanità: omicidio, violenze sessuali, detenzione arbitraria, riduzione in schiavitù e schiavitù sessuale, esecuzioni extragiudiziali, sparizioni. Le discriminazioni sono all’ordine del giorno: minoranze etniche, donne e membri della comunità LGBTQ+ sono costantemente vessati.

Il fatto sconcertante è che le milizie armate e le autorità, autrici di questi crimini, godono della quasi totale impunità. E lo stesso Governo sembra non preoccuparsi della violenza utilizzata quotidianamente.

Migranti e diritti negati

Una categoria particolarmente maltrattata, poi, è quella dei migranti. Secondo le Nazioni Unite i detenuti vengono regolarmente torturati e privati dei servizi essenziali (cibo, acqua, cure mediche, consulenza legale e comunicazione con i famigliari), schiavizzati, abusati e costretti al lavoro forzato.

Percosse, scosse elettriche, esecuzioni simulate, fustigazione, annegamento simulato, sospensione in posizioni contorte e violenza sessuale. I detenuti sono trattenuti in condizioni crudeli e disumane, caratterizzate da sovraffollamento, negazione di assistenza medica e mancanza d’igiene, mancanza di esercizio fisico e cibo sufficiente. La legislazione libica, inoltre,  ha mantenuto l’imposizione di punizioni corporali, come la fustigazione e l’amputazione.

Inoltre, molti rifugiati e migranti hanno perso la vita tentando di lasciare la Libia e raggiungere l’Europa. La guardia costiera libica apre deliberatamente il fuoco sulle imbarcazioni dei migranti e li riporta con la forza in Libia. Migliaia di loro sono scomparsi, moltissimi, invece, sono detenuti in campi profughi che assomigliano a lager a tempo indeterminato con l’accusa di essere migranti “illegali”. Infine, l’accesso ai campi da parte della Missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia e delle organizzazioni umanitarie è totalmente negato.

Al netto di tutto ciò, quindi, la situazione dei diritti umani in Libia è drammatica. Per questo motivo il Procuratore della Corte penale internazionale Karim Khan, nel suo discorso alle Nazioni Unite, ha chiesto che si passi dalle parole ai fatti. Perché i 4 mandati d’arresto per crimini contro l’umanità sono un buon punto di partenza ma non sono sufficienti. La strada intrapresa dalla Corte penale internazionale in collaborazione con le Nazioni Unite e la giustizia locale è quella giusta ma resta ancora tanto, anzi tantissimo, da fare.  

Arianna Ferioli

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