In Kenya si viaggia con i Matatu: residuati bellici che diventano mezzi di trasporto multicolore

matatu

Il Kenya, si sa, è una casa di colori. La musica, il ritmo, la creatività sono radicate nella terra, negli odori, nei passi di chi lo abita. In questo quadro pittoresco, che cattura lo sguardo, sprazzi di rumore e allegria provengono dai Matatu.

I Matatu sono stravaganti e colorati mezzi di trasporto che sfrecciano, tra musica e chiacchiere, per le strade di Nairobi, la capitale del Kenya. All’apparenza, i Matatu si presentano come minibus da 14 posti, che nella realtà a seconda dell’occasione, possono contenere anche 28 passeggeri, seduti e in piedi, taciturni e scanzonati, abitanti del posto e turisti.

La parola Matatu ha origine dal swahili. Difatti, in swahili “tatu” significa “tre” e chiaro è il riferimento alle origini dell’iconico mezzo di trasporto africano: tre centesimi di scellino era il costo base della corsa.

Viaggiare sui Matatu è sicuramente un’esperienza unica nel suo genere. Simili ai Daladala della Tanzania, gli autisti si districano veloci tra il traffico della capitale, voltando nei vicoli, nelle strade poco convenzionali, prendendo passeggeri in corsa, arrivando nei luoghi prestabiliti pur non seguendo tappe fisse. Il percorso può cambiare, a rimane uguali sono la partenza, in cui salgono i primi passeggeri e l’arrivo promesso.

Ogni Matatu ha la propria personalità, il proprio aspetto e carattere. Caratterizzati da murales realizzati da artisti diversi, hanno scritte, firme, parole che possono descrivere la meta d’arrivo, il carattere del Matatu, i principi in cui crede. All’interno, i passeggeri possono ascoltare musica, che può provenire da casse molto grandi poste sotto il sedile o da autoparlanti più piccoli appesi al tetto. In genere, i Matatu sono dotati anche di wi-fi e schermi a led. Tuttavia, per un periodo i Matatu furono oggetto di una politica riformatrice, volta a renderli non solo più sicuri, ma uguali nell’aspetto.

L’origine dei Matatu, il cambiamento e la riappropriazione di sé

Il precursore del Matatu fu un residuato bellico, un vecchio furgone Ford Thames, che i soldati britannici usarono in Etiopia durante la Seconda guerra mondiale, recuperato e riutilizzato per renderlo qualcosa di diverso. Negli anni Sessanta, si iniziò ad utilizzarlo per trasportare conoscenti in centro, chiedendo loro indietro solo i soldi per il carburante. Si iniziò così ad intuire il potenziale dei vecchi veicoli, la possibilità di renderli mezzi di trasporto pubblici, pratici e redditizi. Pian piano, i Matatu inizieranno a prendere colore, a rendersi originali, distinguendosi gli uni dagli altri, utilizzandoli stabilmente come mezzi di trasporto anticonvenzionali.




Sarà nel 2004 che l’NTSA – Autorità nazionale per il trasporto e la sicurezza – vieterà schermi, musica e murales sui Matatu. Durante il divieto, tutti i Matatu divennero bianchi e l’unico tocco di colore concesso sarà una striscia gialla, seguita – al massimo – dal numero di passeggeri e dal nome delle linee per cui il mezzo era abilitato. Altre norme introdotte riguarderanno l’obbligo delle cinture di sicurezza – dapprima inesistenti sui Matatu – per tutti i sedili dei passeggeri. A bordo, le figure dell’autista e del bigliettaio avrebbero dovuto indossare delle divise di colore giallo o blu, mentre la musica non poteva essere ascoltata ad un volume eccessivamente e volutamente alto. Secondo l’NTSA, il divieto mirava alla promozione di una maggiore sicurezza sulla strada e al mantenimento dei parabrezza dei Matatu privi di murales.

Se, in un primo momento, si tenterà di adeguarsi alle nuove regole e al mantenimento di un certo rigore, col passare del tempo, esse verranno sempre più trascurate. Sino a quando, nel 2015, il divieto non verrà revocato dal presidente Uhuru Kenyatta, che vedrà nei colori e nei graffiti dei Matatu, una fonte di originalità e sussistenza per migliaia di giovani. I Matatu potranno riappropriarsi di sé stessi.

Prospettive future: tra problemi e ambizioni

In Kenya il settore dei Matatu, che può contare su un parco di circa 30.000 veicoli, si è trasformato nel giro di pochi decenni in un giro d’affari multimiliardario, riuscendo a superare anche le difficoltà scaturite a seguito della pandemia. Inoltre, è da tenere presente che Nairobi, capitale del Kenya, è la più grande città dell’Africa orientale ed è sede di alcune delle più grandi aziende multinazionali, come Coca Cola, Google e Toyota.

Il successo a cui sono andati incontro i Matatu, però, non li rende esenti da problematiche ingombranti. Ad esempio, gli autisti verranno accusati di violare il codice stradale e numerose saranno le leggi volte a ridurne l’attività. La risposta degli operatori coinvolti nel settore, come anche degli abitanti che ne fanno abitualmente utilizzo, prende spesso la forma dello sciopero, della protesta. È importante riconoscere ai Matatu, sebbene possano non piacere e si scelga di non usufruirne mai, la creatività di un sistema di trasporto veloce e accattivante non solo per il turismo, ma utile per gli abitanti di zone limitrofe e non, con redditi particolarmente bassi.

Per costruire un futuro stabile e controllato per i Matatu sarà poi necessario risolvere la problematica delle tangenti richieste agli operatori, sia dalla setta dei Mungiki – al fine di ricevere il consenso per operare nelle grandi città di Nairobi, Nakuru e Mombasa – sia dalla stessa polizia. Quest’ultima, infatti, è solita richiedere tangenti fisse ad ogni proprietario di Matatu e ai singoli autisti, così da non multarli in caso di infrazione.

Le problematiche dietro i Matatu sono ancora molte. Altrettanta, però, sa essere l’ambizione di un posto che continua a dimostrare, con i propri mezzi, la capacità di sapersi reinventare.

Angela Piccolomo

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