In Italia aumenta il lavoro minorile: tra schiavi invisibili e schiavitù legalizzata

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Il 12 giugno, in occasione della Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile, Unicef Italia ha  presentato il primo rapporto statistico sul tema. In Italia aumenta il lavoro minorile: nel 2022 i bambini e gli adolescenti tra i 7 e i 15 anni  che hanno avuto esperienze lavorative sono oltre 336 mila; quasi 70 mila i lavoratori minorenni tra i 15 ed i 17 anni.  Le cinque regioni con il maggior numero di ragazzi fino a 19 anni occupati sono Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Lazio e Puglia.

In Italia aumenta il lavoro minorile: i dati del rapporto “Non è un gioco”

Secondo il rapporto redatto da Unicef Italia, ad oggi, in Italia ci sarebbero oltre 336mila minori tra i 7 ed i 15 anni che hanno già avuto esperienze lavorative. Ad essere impiegati tra i 15 ed i 17 anni sarebbero in quasi 70.000,  decisamente in crescita rispetto ai 51.845 del 2021 e ai  35.505 del 2020. Inquietanti i dati sui minori in stato di povertà assoluta: sono 1.382.000.

L’immagine complessiva del lavoro minorile in Italia assume tinte ancora più fosche se si osservano i numeri degli infortuni di questi piccoli schiavi sui luoghi di lavoro : sono state 352.140 le denunce di infortunio di minorenni sotto i 19 anni presentate all’Inail a livello nazionale nel 2022, tra queste 223.262 riguardano minorenni fino a 14 anni e 128.878 quelli compresi nella fascia di età 15-19 anni.

Tra le regioni in cui è stata rilevata la maggior incidenza di lavoro minorile ci sono Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Lazio e Puglia. A detenere il macabro primato di infortuni con esito mortale di lavoratori minorenni è il Veneto.

Le dichiarazioni del presidente Mattarella

Nella giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile sono arrivate le parole del presidente Mattarella:
“Anche in Italia i numeri sul lavoro minorile fanno riflettere: sono espressione del disagio sociale presente in troppe aree del Paese e trovano connessione anche con manifestazioni della criminalità organizzata. È necessaria una presa di coscienza della pericolosità dell’ingresso in età precoce nel mondo del lavoro di bambini e ragazzi. È una responsabilità per fronteggiare la quale sono necessari l’impegno dei governi, delle imprese, della società civile e l’adozione, a livello internazionale, di comportamenti eticamente condivisi anche da parte dei consumatori”.

Tra schiavi invisibili e schiavitù legalizzata

Avere una visione chiara sui dati del lavoro minorile in Italia è di fondamentale importanza per comprendere l’entità di un fenomeno che solitamente si immagina come esclusivamente relegato ai paesi in via di sviluppo. Per questo, come evidenziato dallo stesso rapporto di Unicef, bisognerà lavorare sempre di più nell’ottica di “pianificare un’indagine sistematica e periodica sul lavoro minorile in Italia”. Tuttavia, i dati, se non contestualizzati, rimangono piuttosto sterili.  Se in Italia aumenta il lavoro minorile in maniera esponenziale, è necessario innanzitutto interrogarsi sulle cause, che vanno innanzitutto ricercate nell’impoverimento degli strati più bassi della popolazione. Da cosa è determinato tale impoverimento? Dalle politiche antipopolari di governi che, uno dopo l’altro, hanno peggiorato le condizioni di lavoro, portando abbassamento dei salari e precarizzazione. In questo senso il decreto 1° maggio rappresenta un’ ulteriore passo in questo senso: ai lavoratori servono contratti a tempo indeterminato, sicurezza sul lavoro e  salari dignitosi, non l’elemosina di  voucher e  mini tagli al cuneo fiscale.

Infine quando si parla di lavoro minorile in Italia, è fondamentale ricordare, accanto agli “schiavi invisibili”, anche quegli schiavi visibili di cui nessuno sembra accorgersi: gli studenti, specialmente quelli degli istituti tecnici, che vengono sfruttati all’interno dei progetti di Scuola-lavoro da aziende private non adeguate (o intenzionate) a fornire formazione.  Si tratta di ragazzi appena sedicenni che sono costretti a fornire manodopera gratuita ad aziende che spesso non possiedono nemmeno adeguati dispositivi di sicurezza, tanto che sono ben tre i ragazzi ad aver perso la vita sul lavoro nel 2022. Tre morti che tuttavia l’INAIL non ha nemmeno riconosciuto come morti sul lavoro.

Virginia Miranda

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