L’overtourism mette a rischio l’ecosistema montano e non aiuta le comunità locali. E il cambiamento climatico impone maggiore responsabilità
Un aumento di temperatura tra i 2 e i 3 °C per il 2050 ed entro fine secolo un ulteriore aumento che va dai 3 ai 7 °C a causa del riscaldamento globale. Nonostante il preoccupante scenario che riguarda gran parte delle montagne italiane, continuano i progetti di nuove infrastrutture per il turismo alpino. Da quindici anni, il dossier Nevediversa di Legambiente cerca invece di portare l’attenzione su una visione alternativa alla “monocultura dello sci in pista”, messa sempre più in difficoltà dalla carenza di neve.
Di fatto la cosiddetta Linea di affidabilità della neve (Lan), calcolata sull’innevamento per 100 giorni l’anno con uno spessore di almeno trenta centimetri, sta salendo sempre più di quota. Con un aumento di temperatura di 5 gradi ci sarà una risalita del manto nevoso di 750m, passando dai 1500m di media stimati nel 2006 a come minimo 2250m di altitudine.
Molti gli impianti sciistici dismessi, ma si continua a progettare nuove strutture
In diverse parti del mondo, gli impianti sciistici diventano inutilizzabili, non solo per una questione di manutenzione, ma soprattutto per la mancanza di neve. Non è un caso che, sempre più frequentemente, i luoghi votati alle Olimpiadi invernali lamentano la mancanza della “materia prima”, con le ultime tre edizioni dei Giochi contraddistinte per l’utilizzo massivo o esclusivo dell’innevamento artificiale. Ma la prospettiva dipinta dagli scienziati per la fine del secolo è ancora più preoccupante: delle ventuno località che finora hanno ospitato i Giochi, solo Sapporo, in Giappone, riuscirebbe a organizzarli nel 2080.
Una situazione critica che tocca seriamente anche l’Italia. Dall’ultimo rapporto di Legambiente si registrano 234 impianti dismessi, 134 strutture temporaneamente chiuse e 149 impianti che richiedono costante manutenzione per continuare a operare. Nonostante i dati suggeriscano un cambio di pianificazione progettualità, i finanziamenti approvati per nuove infrastrutture sono tanti, molti dei quali indifferenti anche alle aree protette.
Continuare a costruire impianti a 1500 metri o fare resort ovunque è un’assurdità che va contro ogni buon senso. Queste situazioni, come il caso della pianificazione nell’Appennino marchigiano, vicino ai monti Sibillini, vengono denunciate, ma le attività vanno avanti. La Regione ha infatti destinato all’ampliamento degli impianti sciistici dei Monti Sibillini oltre 65milioni di euro di fondi pubblici, di cui circa 30milioni provengono dal Fondo complementare aree sisma 2009/2016.– Alessandro Gogna, alpinista e guida alpina, tra i fondatori di Mountain Wilderness
Le normative ci sono, quel che manca è il rispetto
Le normative in tal senso esistono. L’Italia ha recepito nel 1997 la normativa europea Habitat per il mantenimento degli habitat naturali e delle specie minacciate ma, come sottolineato da Legambiente, le norme nazionali rimangono poco esplicite.
Per quanto riguarda i siti di Rete natura 2000, ci sono invece chiare limitazioni alla realizzazione di nuovi impianti sciistici, come il Decreto del ministero per l’ambiente del 17 ottobre 2007, che ha previsto criteri minimi per la loro realizzazione nelle zone protette. A ciò si aggiungono i Decreti istitutivi degli Enti parco nazionali, che prevedono la possibilità solo di ammodernare e mettere in sicurezza gli impianti esistenti, oltre che i recenti provvedimenti europei per il Green Deal, che prevedranno un’estensione delle aree protette italiane dal 22% al 30%.
Nonostante un quadro europeo molto chiaro, sono oltre 150 gli interventi di ampliamento e potenziamento delle strutture sciistiche nei siti di Rete Natura 2000, ai quali si aggiungono controlli insufficienti sulla destinazione dei fondi europei in arrivo. Non a caso l’Italia è già sottoposta a una procedura di Eu pilot a causa del mancato rispetto della Direttiva Habitat sul divieto di realizzare nelle aree protette progetti non finalizzati alla gestione delle stesse.
Troppa facilità spinge a trascurare i rischi e aumentano le richieste di soccorso
Una conseguenza di questa maggiore accessibilità alla montagna rende più evidente l’esigenza di essere assistiti, dai punti di ristoro alle organizzazioni di soccorso. Di fatti se l’ambiente montano è di straordinaria bellezza, rimane tra i più pericolosi e, purtroppo, sottovalutati.
Secondo gli ultimi dati disponibili, nel 2020 sono stati infatti oltre 10mila (10.279), di cui il 46,9% dovuti a cadute e il 28,4% a “incapacità” (seguiti da malori e cattive condizioni meteorologiche).
Sebbene sembri sempre più evidente, auspicare un repentino cambio di mentalità, dallo sfruttamento e consumo del luogo, alla ricerca di un altro tipo di conoscenza e di esperienza, non è facile né scontato da perseguire.
La montagna viene vissuta come qualcosa di meraviglioso, ma inavvicinabile se non a determinate condizioni. Manca la volontà di fare uno sforzo individuale per adeguarsi, evitando le occasioni in cui viene ‘addomesticata’. L’educazione dovrebbe passare attraverso il principio per cui una cosa è più desiderabile e importante se guadagnata con la fatica, l’impegno e la giusta preparazione. Ovvero, un’esperienza completamente diversa da quella in cui vai e compri. – Alessandro Gogna, alpinista e guida alpina, tra i fondatori di Mountain Wilderness