E’ difficile parlare di imperfezioni, in un universo come questo, dove l’eccellenza è ricercata, bramata, sfiorata, accarezzata e mai colta. Difficile trattare un argomento così scottante, tagliente, come la lama di un coltello da carne. Le imperfezioni. Difficile, se ti ritrovi a trattare un tale topic sdraiata su di un letto sfatto, con le gambe a penzoloni e il portatile comodamente adagiato sopra. Il trucco sbavato, il mascara che cola, giungendo fino alle ginocchia, i capelli stroppicciati. Difficile farlo, quando le parole ti si bloccano in gola, ed escono ad intermittenza, in uno sbuffo di fiato, esalato dalle tiepide labbra socchiuse. Difficile parlare d’imperfezioni a singhiozzo, seguendo il ritmo di uno spasmo respiratorio. Difficile farlo quando il mondo la fuori ti richiede la serietà e la bella presenza; e tu ti chiudi qui dentro, in un microcosmo fatto di maschere di gomma, dove puoi indossare ogni giorno un volto nuovo.
Non esiste la formula di bellezza, avrei dovuto saperlo già da un tempo memorabile, e non avrei mai dovuto permettere a me stessa di cercare ossessivamente una perfezione illusoria. Al contrario, esiste una variabile impazzita. Quella che oscilla come un pendolo, e cambia tutti i risultati della vita. Quella che permette di riavvolgere la pellicola,e rimettere tutto in discussione.
Ho trascorso anni della mia vita a massacrare il mio corpo, quel corpo che mi appartiene, e attraverso al quale racconto alla gente qualcosa di me. Ho massacrato il mio corpo, costringendolo a digiuni forzati e uno sport compulsivo, stringendo natiche e denti, nella speranza di raggiungere una perfezione che non esisteva.
Dimenticavo una cosa fondamentale, ovvero che il tempo scorre, inesorabile, che io lo voglia o meno, è così, e lo sarà sempre. Questa dovrebbe essere una costante basilare delle nostre esistenze. I giorni diventano mesi, e anni, la pelle s’increspa, formando quegli inevitabili segni del tempo, i capelli s’ingrigiscono, e perdono volume e lucentezza. Ciò che non cambia è la tua forza, la convinzione, la determinazione. Lo spirito, insieme di milioni di imperfezioni, è la colla di qualsiasi tela tessuta da un ragno.
Ho iniziato ad osservare, con occhio critico ma benevolo, le mie imperfezioni, nella mia immagine riflessa allo specchio, il giorno in cui conobbi una donna.
Notai la felicità di una signora anziana in una notte di luna piena estiva; lei, avvolta da un’aurea d’amore immensa, solcando con un sorriso sdentato la fredda sabbia, illuiminata da quella che era la mia luna, veniva verso di me. Veniva verso di me, inciampando nei suoi piedini innaturalmente minuti, trascicando le cosce increspate e rinsecchite, come la buccia di quelle olive a barattolo, che non mi permettevo mai. Le braccia cadenti avvolgevano il corpo dell’uomo al suo fianco, incredibile reliquia di un tempo ormai lontano. Felicità immensa, ma non fu quella a catturare la mia attenzione.
Ancora oggi, ricordando quella notte, mi viene da pensare:
“E se il mio corpo perfetto venisse colpito da una terribile malattia?”Quel corpo magrissimo, che allenavo costantemente alla ricerca della mia perfezione? Cosa succederebbe?
Fu a quel punto che la notai. La vecchina, che mi si avvicinava sempre più, aveva un tatuaggio gigantesco sul seno sinistro, segnato da una cicatrice, che portava i segni di un passato trascorso a combattere contro un mostro invalicabile, di nome cancro. Non lo capii subito, lo ammetto. Rimasi impalata, ammutolita, dinnanzi all’imperfezione dei suoi seni… Imperfetti. Il sinistro era un palloncino sgonfio, rinsecchito, rattoppato, senza capezzolo in punta.
Grazie all’imperfezione di quella donna, capii che laddove siamo più rigidi, irritabili, insicuri, c’è qualcosa d’interessante da scoprire. Io ero impalata, intrappolata come un uccellino in gabbia, in quella mia perfezione illusoria. La vera bellezza delle imperfezioni sta nel saperle portare.
In quel momento stavo imparando ad avvicinarmi al seno imperfetto di quella donna, accostando la mia persona all’imperfezione della mia anima reale.
Ho imparato a sorridere alla mia immagine imperfetta allo specchio, la mattina, sfoderando il mio sorriso migliore, esibendo una dentatura imperfetta.
Ho imparato a riflettere sull’accettazione di me stessa, di ciò che sono, e di ciò che sarò.
Ho imparato a riflettere sull’assurdità di proporre un unico canone di bellezza femminile, un’idea di seno perfetto, una misura, una grandezza, una forma. Quando di seni, ce ne sono davvero tanti:
da quelli ricostruiti post mastectomia, a quelli asimmetrici e con volumi diversi, seni non ricostruiti dalla chirurgia, quadrantectomie, seni bionici con espansori provvisorio definitivi, seni con protesi esterne, seni piatti, mai ricostruiti…
Esiste il mondo del seno operato con la sua cicatrice, che è purtroppo una realtà diffusa, ma mai abbastanza considerata.
Si tratta di imperfezioni, un’incredibile danza d’imperfezioni, talmente perfette da non risultare tali.
E’ proprio sulla cresta dell’onda di questa incredibile riflessione, che mi sono imbattuta in un cortometraggio, girato a Zurigo nell’anno 2013, con l’intento di invitare il mondo a riflettere sull’accettazione delle persone portatrici di Handicap.
“https://www.youtube.com/watch?v=zjOxwMzPA-A”
Lo ripropongo oggi, a me stessa, e a tutti voi, per imparare giorno dopo giorno ad accettare le nostre imperfezioni, perchè quelle, e solo quelle, ci rendono unici e inimitabili.
Sulla Bahnhofstrasse di Zurigo sono esposti alcuni manichini con handicap, creati ad immagine e somiglianza di persone realmente esistenti. Le imperfezioni, quelle, ancora una volta, sono le vere protagoniste del video.
I manichini hanno catturato l’attenzione dei passanti… Invitandoli a riflettere.
Io, personalmente, mi sono ritrovata, ancora una volta, ad osservare la mia immagine riflessa; ad innamorarmi, narcisisticamente, di ogni mia imperfezione.
Elisa Bellino