L’impatto psicologico del genocidio sulla salute mentale dei bambini di Gaza

ONU cessate il fuoco a Gaza

Recuerdos de Hebrón. Al-Jalīl, Palestina.

Save the Children nel suo report ha denunciato l’impatto psicologico del genocidio sui bambini di Gaza, arrivando a parlare di “devastazione” della salute mentale dei bambini. La capacità di immaginare un mondo senza guerra è compromessa dal peso oppressivo di un presente incerto, dalla morte e dalla sofferenza che sono abituati a vedere attorno nella loro quotidianità.

Da più di cinque mesi il vivere quotidiano a Gaza è orribilmente segnato da situazioni che stanno devastando la salute mentale dei bambini. Ogni giorno è una nuova sfida per la sopravvivenza, anche aprire gli occhi e vedere la luce rappresenta una grossa incognita, abituarsi al peggio e al dolore emotivo estremo sembra essere il tragico destino di questa terra martoriata dal male nella sua declinazione più crudele. Gli ultimi dati del Ministero della Sanità di Gaza parlano di circa di 32.000 vittime, di cui più di 13.000 sono minori.

Save the Children denuncia l’impatto psicologico del genocidio sui bambini

I bombardamenti sistematici che lo Stato d’Israele sta perpetrando negli ultimi cinque mesi contro i civili di Gaza rappresentano il culmine di una politica aggressiva e punitiva che da più di 16 anni sconvolge le esistenze dei gazawi.

I minori che oggi patiscono l’impatto psicologico del genocidio in corso sono nati sotto il blocco imposto dalla forza occupante contro la popolazione.

L’embargo non ha solo reso impossibile l’approvvigionamento di beni indispensabili che secondo gli oppressori si prestano ad un doppio uso, ma soprattutto ha compromesso inevitabilmente la libertà di movimento di tutti i civili.

I minori di Gaza sono quindi nati e cresciuti in un contesto di segregazione che ha già in sé segnato la loro percezione della realtà circostante. 

Dall’indagine di Save the Children, dal titolo “Trapped and Scarred”, basata sulle testimonianze raccolte da genitori e care giver, è emerso uno scenario sconvolgente che lascia pochi margini alla speranza e dipinge invece un quadro di disperazione e angoscia.

Gli occhi dei bambini di Gaza sono assuefatti alla piaga della guerra, la sofferenza lacera il loro quotidiano e sostituisce la speranza nel futuro con il tremendo e oppressivo peso di un presente incerto.

Immaginare un futuro senza guerra è praticamente impossibile, troppo presto la loro innocenza è stata infranta dalla vista di sangue e cadaveri, alcuni bambini sono ormai avvezzi a percepire anche in lontananza il sibilo delle bombe e a distinguere i diversi tipi di esplosivo.

Sognare di essere qualcosa di diverso quando il mondo intorno offre solo devastazione e morte richiede un enorme slancio d’immaginazione, molti bambini probabilmente rifuggono la presenza oppressiva della morte creandosi una realtà alternativa, sognando, seppure senza speranza di realizzazione, una vita lontano dal terrore disumanizzante della guerra.

Giocare, ridere, studiare invece di lottare per sopravvivere e procurarsi un pezzo di pane.

Molti altri invece non riescono nemmeno più a sognare nulla di diverso da ciò che ormai sono abituati a vedere.

La violenza della guerra ha annientato anche la capacità di sognare costringendo questi bambini a diventare adulti troppo in fretta o a regredire.

Il dolore, la morte, la devastazione come macigni schiacciano per sempre l’infanzia dei bambini di Gaza e cancellano il loro futuro.

L’impatto psicologico del genocidio sta creando cicatrici insanabili sulla loro salute mentale.

“Trapped and Scarred”

Ansia, paura, regressione, aggressività e insonnia sono le cicatrici emotive causate dall’impatto psicologico del genocidio sui bambini.

Svegliarsi la mattina senza sapere se si riuscirà a trovare abbastanza cibo per sfamarsi, l’amara incertezza di risvegliarsi o meno anche il giorno seguente, dormire all’aperto, assenza di servizi igienici, impossibilità d’accesso ad acqua potabile, la fuga disperata dalle bombe e dai proiettili attraverso strade dissestate e disseminate di cadaveri, la paura di perdere i genitori, sono questi gli orrori quotidiani che sconvolgono le esistenze dei bambini di Gaza.

Il trauma del “ non sapere” rende la quotidianità un incubo senza via d’uscita, il confine tra la vita e la morte diventa sempre più labile, perché vivere significa in realtà convivere con la costante presenza della morte, con il terrore di non farcela, l’angoscia di non rivedere più i propri cari e di restare soli in mezzo a macerie di desolazione e dolore.

Philippe Lazzarini, commissario generale dell’Agenzia Onu per i profughi palestinesi (Unrwa), ha affermato:

“ il numero di bambini uccisi in poco più di 5 mesi a Gaza è superiore al numero di bambini uccisi in 4 anni di guerre in tutto il mondo. Questa guerra è una guerra contro i bambini. È una guerra contro la loro infanzia e il loro futuro”.

“Nessuno vuole che esistiamo sul pianeta”

Come hanno raccontato le madri a Save the Children, i bambini hanno affrontato diverse guerre, le loro possibilità di recupero sono già da tempo compromesse, oggi l’impatto psicologico del genocidio sulla loro salute mentale è devastante. 

Una madre di quattro figli, dai 7 ai 14 anni ha affermato che la salute mentale dei bambini di Gaza non è semplicemente peggiorata ma è stata proprio cancellata.

I più piccoli oltre a soffrire a causa dei traumi di un’infanzia negata da orrori inimmaginabili, assorbono anche la disperazione e il senso di sconfitta dei genitori, così si convincono che non potrà mai esistere un mondo diverso da quello che fin dalla nascita sono stati abituati a subire, non riescono a vedere un’alternativa ad una realtà che non li vuole e non li fa sentire accettati e accolti.

Quale futuro, quali speranze, quali sogni possono fiorire tra le macerie di una devastazione senza fine? 

L’impatto psicologico del genocidio ha cancellato le aspirazioni dei bambini di Gaza, chi sognava di diventare un medico, un insegnante o un ingegnere, adesso si immagina da grande a bordo di un carretto o a vendere dolci davanti casa. O forse ha paura anche di immaginarsi da grande, in un qualsiasi istante tutto può saltare sotto i colpi assordanti di una bomba.

Tutto è fragile e perituro a Gaza, i bombardamenti sgretolano abitazioni ed edifici, fanno saltare in aria stralci di quotidianità e vite appese al filo della caducità.

Sogni, speranze, immaginazione, proiezioni di realtà alternative sono gli unici spazi ancora liberi, dove poter essere ciò che si vuole, in cui essere bambini è un diritto e non una colpa.

Le bombe sioniste hanno privato i bambini di Gaza del diritto allo studio: il 90% degli edifici scolastici di Gaza ha subito danni significativi e altri non possono più essere utilizzati in quanto inagibili, 625mila studenti non vanno più a scuola, e 22.564 insegnanti sono impossibilitati a svolgere il loro lavoro.

Ma ad essere inagibile è soprattutto la fiducia che i bambini di Gaza riescono ancora a provare verso un’umanità sempre più indifferente, su un murales a Gaza si legge una frase tanto esemplificativa quanto straziante: “Mamma, perché il mondo non ci vuole bene”, i bambini di Gaza non anelano la pietà di un mondo inerte, ma la comprensione profonda della loro condizione di immane sofferenza.

Non smettere di raccontare la storia dei bambini di Gaza, continuare a denunciare le atrocità commesse dai sionisti e l’impatto psicologico del genocidio sulla salute mentale dei più piccoli, può rappresentare un abbraccio rassicurante ed empatico, come a voler farsi carico del loro dolore e delle loro lacrime.

Le lacrime dei bambini di Gaza sono un urlo disperato al mondo, una richiesta d’aiuto che deve essere accolta e manifestata.

Jenny Favazzo

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