Impatto dell’ibuprofene sulle angiosperme marine

ibuprofene sulle angiosperme marine

Un recente studio condotto dall’Università di Pisa e pubblicato sul prestigioso Journal of Hazardous Materials ha portato alla luce un problema finora poco esplorato: l’effetto dell’ibuprofene sulle angiosperme marine. Questa ricerca, la prima del suo genere, evidenzia come diverse concentrazioni di questo comune antinfiammatorio possano influire sulla salute e la vitalità di queste piante acquatiche fondamentali per l’ecosistema marino.

Le angiosperme marine e il loro ruolo cruciale negli ecosistemi

Le angiosperme marine, note anche come piante acquatiche, svolgono un ruolo essenziale nei mari e negli oceani. Queste piante sono in grado di stabilizzare i fondali marini, migliorare la qualità dell’acqua e fornire un habitat per una vasta gamma di specie marine. Oltre a essere fondamentali per la biodiversità, esse contribuiscono alla cattura del carbonio, aiutando a mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici.

Tuttavia, negli ultimi decenni, le angiosperme marine sono state sottoposte a pressioni crescenti a causa dell’inquinamento chimico, del riscaldamento globale e delle attività antropiche. Tra i contaminanti emergenti che destano maggiore preoccupazione, i farmaci e i loro metaboliti hanno ricevuto una crescente attenzione da parte della comunità scientifica.

L’utilizzo dell’ibuprofene

L’ibuprofene è uno dei farmaci più utilizzati per il trattamento di dolori, infiammazioni e febbre. Durante la pandemia di Covid-19, il consumo di questo antinfiammatorio è aumentato in maniera esponenziale, complice la sua accessibilità e la sua efficacia. Tuttavia, l’uso diffuso ha portato a una presenza sempre maggiore del farmaco e dei suoi residui nelle acque reflue, che spesso sfociano nei mari senza essere adeguatamente trattate.

Questo fenomeno ha sollevato preoccupazioni circa gli effetti potenziali che i farmaci, come l’ibuprofene, possono avere sugli ecosistemi acquatici, soprattutto su organismi delicati come le angiosperme marine.

La metodologia dello studio

Per valutare l’impatto dell’ibuprofene sulle angiosperme marine, il team di ricerca dell’Università di Pisa ha condotto esperimenti in laboratorio esponendo le piante a diverse concentrazioni del farmaco. Le concentrazioni utilizzate variavano da livelli comparabili a quelli rilevati nelle acque costiere inquinate a dosi più elevate, simulate per comprendere gli effetti di un potenziale accumulo.

I ricercatori hanno monitorato diversi parametri fisiologici e biochimici delle piante, tra cui la fotosintesi, la crescita delle radici e la produzione di pigmenti come la clorofilla. Inoltre, sono stati analizzati i livelli di stress ossidativo per determinare se l’esposizione al farmaco inducesse la formazione di radicali liberi o alterasse i meccanismi di difesa delle piante.

I risultati 

Lo studio ha rivelato che l’esposizione all’ibuprofene, anche a basse concentrazioni, può causare effetti deleteri sulle angiosperme marine. Tra i principali risultati si osserva una significativa riduzione dell’attività fotosintetica e una diminuzione della crescita delle radici, indicando un impatto negativo sul metabolismo e sulla capacità di assorbire nutrienti.



Inoltre, è stato rilevato un aumento dello stress ossidativo, con un conseguente danneggiamento delle membrane cellulari e una riduzione della capacità delle piante di adattarsi alle condizioni ambientali avverse. Questi effetti, se prolungati nel tempo, potrebbero compromettere la sopravvivenza delle angiosperme e, di conseguenza, alterare gli equilibri degli ecosistemi marini.

L’importanza di una gestione sostenibile dei farmaci

I risultati dello studio dimostrano la necessità di una migliore gestione dei farmaci e dei loro residui per ridurre l’impatto ambientale. Tra le possibili soluzioni vi è il miglioramento dei sistemi di trattamento delle acque reflue, che dovrebbe includere tecnologie più avanzate in grado di rimuovere efficacemente i contaminanti farmaceutici.

Inoltre, sarebbe opportuno promuovere una maggiore consapevolezza tra i cittadini sull’importanza dello smaltimento corretto dei farmaci scaduti o non utilizzati, evitando che questi finiscano nelle reti fognarie. Parallelamente, la ricerca dovrebbe essere incentivata per sviluppare farmaci più ecocompatibili, con minore persistenza nell’ambiente e minori effetti negativi sugli organismi non target.

Lo studio dell’Università di Pisa rappresenta solo il primo passo per comprendere appieno l’impatto dei farmaci sugli ecosistemi marini.

 

 

 

Patricia Iori

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