L’Indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite è un indicatore che misura la prosperità di un paese in base a reddito, sanità e istruzione. Ora ha anche un nuovo parametro: l’impatto ambientale generato sul pianeta. La tradizionale classifica dei paesi in termini di sviluppo umano è quindi del tutto cambiata.
Il criterio dell’impatto ambientale non era mai stato inserito finora nei Rapporti dell’ONU sullo sviluppo umano.
Era stato Mahbub ul Haq, un economista pakistano, a mettere a punto nel 1990 l’Indice di sviluppo umano (Human Development Index, ISU o HDI). L’indicatore si ottiene con la media geometrica di tre indici. Questi sono l’indice di aspettativa di vita, l’indice di istruzione e l’indice di reddito. Lo scopo era “mettere a fuoco le politiche di sviluppo incentrate sulla persona”.
Da trent’anni lo Undp (United Nations Development Programme – Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo) utilizza l’ISU. In base ad esso, ogni anno il Rapporto ONU sullo sviluppo umano classifica tutte le nazioni.
Con il passare degli anni, non sono mancate le critiche a questo sistema.
Lo stesso Undp si è lamentato della qualità dei dati statistici, ricavati dai Rapporti di altre agenzie ONU o direttamente dai governi. I dati di molti paesi sono spesso parziali o del tutto assenti.
Nel 1998 anche il premio Nobel dell’economia Amartya Sen aveva criticato l’ISU. Secondo Sen, l’Indice ometterebbe degli importanti fattori di sviluppo umano. Si tratta della presenza di elezioni libere, democrazia, libertà di stampa e di espressione. Assenti anche indicatori relativi alla sostenibilità, alla tecnologia e alla cultura.
L’inserimento dell’indicatore di impatto ambientale potrebbe risolvere almeno uno di questi problemi.
Il parametro è apparso per la prima volta nel Rapporto sullo sviluppo umano 2020, pubblicato lo scorso 15 dicembre. I valori su cui si basa l’indicatore di impatto ambientale sono due: le emissioni di CO2 e l’impronta materiale prodotti da un paese. Secondo il nuovo indice, più basso è l’impatto ambientale prodotto, maggiore sarà lo sviluppo umano raggiunto.
Alla base della novità ci sono due considerazioni. Innanzitutto, secondo l’Undp bisogna tener conto del fatto che non tutti i paesi esercitano il medesimo tipo di impatto ambientale. Spesso le popolazioni “meno inquinanti” sono anche maggiormente vittima di disparità e disuguaglianze.
Dobbiamo inoltre accettare che la realtà in cui viviamo è pesantemente influenzata dalle azioni umane. Le conseguenze sono state (e sono tuttora) la perdita di biodiversità e lo sfruttamento eccessivo di materiali. L’impatto è talmente drammatico che gli scienziati parlano di una nuova era geologica, l’Antropocene. Come sottolinea il comunicato stampa dell’Undp:
Poiché la Terra si avvia ad entrare in una nuova era geologica, l’Antropocene o “Età degli Umani”, è giunto il momento di ridefinire le nostre strategie per il progresso.
Il risultato è un nuovo Indice di sviluppo umano: il Planetary-Pressures Adjusted HDI (o PHDI).
Già a primavera l’ONU aveva avvisato: complice il Covid-19, il 2020 sarebbe stato un anno difficile per lo sviluppo umano. Il Coronavirus ha infatti dato uno stop al raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile che l’ONU vorrebbe raggiungere entro il 2030. La pandemia ha infatti colpito tutti gli elementi che lo misurano: reddito, istruzione e salute.
Con il PHDI emerge una “meno rosea ma più chiara” immagine dell’attuale sviluppo umano. La dipendenza di molti stati dall’energia fossile e l’impronta ambientale rilasciata hanno avuto un grosso peso. Più di 50 nazioni sono usciti dal gruppo di paesi con il maggiore ISU.
La Norvegia, prima della classifica, perde quindi 15 posizioni. Va peggio all’Australia, che scende dalla posizione 8 alla 72, a Singapore (da 11 a 92) o al Lussemburgo, che da 23° diventa addirittura 174°. Aumenta, invece, la posizione dell’Indonesia, che guadagna 16 punti in più.
Sale anche la posizione dell’Italia, che si sposta dal posto 29 al 17, ma aspettiamo a cantar vittoria. La promozione è infatti dovuta solo all’andamento peggiore dei nostri vicini. In base al PHDI, infatti, anche lo sviluppo umano dell’Italia sarebbe calato.
La conclusione è unanime: nessuno ha raggiunto finora uno sviluppo umano elevato senza mettere a dura prova la salute del pianeta. Secondo Pedro Conceição, responsabile Undp del Rapporto sullo sviluppo umano,
Oggi dobbiamo riconoscere che il progresso umano guidato da una crescita ineguale e basata su combustibili fossili ha ormai fatto il suo corso.
Rachele Colasanti