Negli ultimi cinque anni l’immunoterapia anticancro ha rivoluzionato la cura di molti tipi di tumore tramite l’impiego di una nuova classe di farmaci chiamati inibitori del punto di controllo (checkpoint inhibitors). In pratica questi farmaci vanno a rimuovere gli ostacoli che impediscono alle cellule del nostro sistema immunitario di trovare ed attaccare le cellule tumorali.
Purtroppo però l’immunoterapia anticancro utilizzata finora, che consiste in una somministrazione sistemica per via flebo endovenosa, ha degli importantissimi effetti collaterali in due pazienti su tre (essenzialmente sviluppo di malattie autoimmuni, anche gravi), e di questi un terzo interrompe la terapia o comunque è costretto a sottoporvisi in modo discontinuo. Ora dall’Università di Chicago arrivano ottime notizie, in uno studio pubblicato su Science Translational Medicine, i ricercatori documentano una nuova tecnica da loro sperimentata per somministrare questi farmaci localmente eliminando gli effetti collaterali legati alla terapia sistemica.
I ricercatori affermano di essere rimasti piacevolmente sorpresi dal fatto che la terapia somministrata localmente abbia segnato una favolosa doppietta: conseguendo lo scopo ricercato di eliminare gli effetti collaterali e rivelandosi efficacissima, quanto e più di quella tradizionale.
La tecnica che ha permesso di somministrare l’immunoterapia anticancro localmente
I ricercatori hanno “attaccato” a farmaci immunoterapici molto efficaci denominati anti-CTLA4 e anti-PD-L1 a dei peptidi (composti chimici che sono delle catene di amminoacidi) che a loro volta si legano ai tessuti del tumore stesso e che lo circondano. Infatti Jeffrey Hubbell, l’autore principale dello studio racconta che il punto non era solo somministrare questi farmaci in loco, ma tenerceli.
I ricercatori prima hanno individuato una particolare sequenza di peptidi che si lega alla matrice extra-cellulare quindi hanno iniziato a cercare dei composti che avessero quella particolare sequenza e l’hanno individuata nella proteina PlGF-2 (Placental growth factor), quindi hanno individuato la parte precisa della PlGF-2 che si lega alla matrice extra-cellulare e infine l’hanno legata ai farmaci anti-CTLA4 e anti-PD-L1.
I test sui topi hanno mostrato che il farmaco rimane in loco e solo una quantità infinitesimale finisce nel flusso sanguigno, tanto che era appena rilevabile entro tre giorni.
Otto topi su otto trattati con la terapia tradizionale, cioè gli stessi farmaci per via sistemica e senza la PlGF-2 hanno sviluppato diabete autoimmune. Nessuno dei topi trattati con la immunoterapia anticancro locale l’ha sviluppata.
Per quel che riguarda l’efficacia della terapia 11 su 16 topi con cancro del seno provocato sono guariti con la nuova terapia contro i solo 5 su 15 trattati con la terapia tradizionale.
Non solo, i topi trattati con anti-CTLA4 e anti-PD-L1 associati a PlGF-2 hanno mostrato di aver acquisito una memoria immunologica quando sono stati ri-esposti a cellule tumorali del cancro del seno.
Roberto Todini