L’immortale, questo il titolo dell’ultimo film del talentuoso regista giapponese Takashi Miike. Un nome che sembra quasi più una qualifica raggiunta piuttosto che un semplice titolo. Il perché è presto detto. Questo lungometraggio, infatti, è nientemeno che il centesimo film realizzato dal regista nipponico. Un record davvero incredibile e di tutto rispetto, che sicuramente gli regalerà un imperituro riconoscimento negli annali della cinematografia giapponese.
Il Film è tratto dall’omonimo manga di Hiroaki Samura pubblicato in Giappone da Kōdansha nella rivista Afternoon tra il 1993 ed il 2012, ma successivamente tradotto in diverse lingue e pubblicato in vari paesi.
La pellicola è uscita direttamente online per il catalogo Netflix. Anche per questo sembra che non sia stata molto notata in Italia.
Va sottolineato anche una scarsa pubblicizzazione per il grande pubblico e una certa ritrosia per il cinema orientale che ancora serpeggia (purtroppo) qui da noi. Il film, tuttavia, ha ricevuto ottime valutazione sia della critica, sia da parte degli amanti del genere. Esattamente come era avvenuto qualche anno fa per il suo lungometraggio intitolato 13 assassini.
Qui è possibile visionare il trailer in italiano del film.
L’immortale: la trama
Presentato fuori concorso al 70simo Festival di Cannes, il film narra di Manji, un Rōnin in fuga, braccato per aver tradito il suo signore e i suoi sottoposti. Coinvolto in una tremenda battaglia, che scatena in lui una profonda collera, sterminerà tutti i nemici prima di cadere a terra moribondo. Finito lo scontro, una misteriosa donna appare all’improvviso e mette all’interno del suo corpo delle sanguisughe sacre. Di lì in poi vivranno dentro di lui e cureranno immediatamente ogni ferita subita rendendolo, di fatto, immortale.Cinquant’anni dopo Manji ingaggiato come guardia del corpo da una ragazzina in cerca di vendetta di nome Rin Asano, cercherà di restituirle giustizia mettendosi contro coloro che hanno crudelmente sterminato la sua famiglia.
Lo stile di Miike
Com’è facilmente intuibile, il genere di Miike è pienamente nipponico, tant’è che in molti lo definiscono “samuraiesco”. Di conseguenza per chi non è amante del suo stile specifico o semplicemente non conosce molto (né tantomeno è abituato vedere) un cinema ambientato in contesti molto diversi da quelli europei e statunitensi, potrebbe rimanere alquanto deluso dalla visione. Valori, leggende e scenari differiscono notevolmente dai nostri. Questo è, a tutti gli effetti, un genere a sé stante, esteticamente e recitativamente. Molto diverso da quello a cui siamo abituati, ma anche diverso dallo stile recitativo cinese. Ciononostante è decisamente degno di essere apprezzato e vissuto.
Emanuele Algieri