La situazione a Gaza
Continuano i combattimenti nella striscia nonostante i continui richiami della comunità internazionale, dell’ONU e delle ONG che si occupano di monitorare le condizioni umanitarie nella Striscia, che denunciano l’imminente rischio carestia a Gaza.
La tregua che sarebbe dovuta cominciare in coincidenza con l’inizio del mese di Ramadan al 10 di marzo non è ancora stata accordata tra le parti. Molteplici i tentativi di mediazione da parte di Egitto Qatar e Stati Uniti che sono tutti falliti, da dicembre sino alla scorsa settimana si è creduto in diversi momenti di essere vicini ad un accordo, ma il braccio di ferro tra Israele e Hamas continua.
Si continuano a contrattare i termini di una possibile intesa, con un nuovo round di colloqui, ripresi domenica scorsa.
Intanto, sul campo le autorità palestinesi denunciano una nuova irruzione delle Forza di Difesa nell’ospedale al-Shifa di Gaza City, la quarta in questo ospedale nel nord della Striscia dal sette ottobre.
Carestia a Gaza
Mentre Il conflitto imperversa da più di cinque mesi la popolazione civile è allo stremo. Con una sola settimana di tregua dal 24 novembre al 1° dicembre 2023, le ripercussioni pratiche, oltre che psicologiche sono ormai disastrose e continueranno a condizionare la vita di 2 milioni di persone per anni a seguito del conflitto, ma ciò che allarma maggiormente la comunità internazionale oggi è lo spettro di una minaccia potenzialmente peggiore del conflitto diretto che incombe sulla popolazione civile di Gaza, la Carestia.
Un rapporto del 18 marzo di Integrated Food Security Phase Classification (IPC) supportato dalle Nazioni Unite rivela che oltre il 70% della popolazione della Striscia ( più di 2 milioni di persone) comincia a subire le conseguenze catastrofiche legate alla mancanza di cibo, è l’inizio di una carestia a Gaza.
Cosa è IPC
Integrated Food Security Phase Classification è un’iniziativa multi-partecipativa che mira al miglioramento delle analisi nel settore della sicurezza alimentare e della nutrizione per monitorare e classificare le aree di crisi e fornire a governi, agenzie ONU o ONG i migliori strumenti possibili per preparare e implementare gli interventi sul campo.
La scala di riferimento su cui si basa il calcolo del rischio prevede 5 gradini che includono una serie di decisioni e procedure immediate pensate per affrontare il livello di emergenza per le quali sono state ideate, esse sono:
Minima: nessun evento registrato che compromette l’accesso al cibo.
Stressed: eventi minori come aumento dei prezzi o crollo della produzione compromettono marginalmente l’accesso al cibo.
Crisi: la terza fase è la condizione da evitare, ovvero la reazione di una popolazione a eventi di portata tale da costringere le persone a vendere beni e proprietà necessarie alla sussistenza per fare fronte alla mancanza di cibo o in alternativa a nutrirsi meno. (eventi possono essere intesi come catastrofi naturali, così come guerre o altro)
Emergenza: questa fase comprende le conseguenze della fase 3, una volta ridotti o venduti i mezzi di sostentamento la popolazione è costretta a mangiare meno e a ridurre la qualità del cibo. Questa condizione dà adito a elevati livelli di malnutrizione e conseguente aumento del tasso di mortalità
Catastrofe o carestia: ovvero il completo collasso del sistema sociale, quando più del 20% della popolazione non ha modo di avere accesso al cibo per il sostentamento e la sopravvivenza. In questo contesto tutta l’organizzazione sociale è a rischio collasso, gli individui sono vulnerabili e la violenza per accaparrarsi le poche risorse disponibili è una realtà.
La Carestia a Gaza ha già iniziato a mietere vittime, soprattutto tra neonati e anziani ma sempre secondo il rapporto avrà il suo apice tra marzo e giugno se non si interviene immediatamente. Metà della popolazione gazawi ovvero 1.1 milioni di persone hanno esaurito ogni scorta di cibo e non hanno possibilità di ricevere aiuti umanitari se non i pochi che gli statunitensi hanno iniziato a paracadutare, con annessi tutti i rischi legati a tali operazioni, e stanno quindi già avendo a che fare con una carestia.
L’area più colpita della Striscia, ovvero il Nord, dove risiedono tutt’ora più di 300 mila persone è l’epicentro della carestia che già da questo mese incombe su tutta Gaza, perché è meno raggiungibile via terra dai pochi convogli di aiuti umanitari che riescono a penetrare nell’enclave. Le strade sono impercorribili perché ricoperte di detriti, oltre il 70% di tutti gli edifici di Gaza hanno subito danni o sono stati distrutti.
Il mese sacro del Ramadan ora in corso prevede per i fedeli l’impegno ad elargire una parte delle proprie ricchezze materiali, anche sotto forma di cibo, ai più poveri e ai bisognosi, è la Zakat, che deriva etimologicamente dal concetto di purezza ed è una forma di purificazione per il fedele simile alla preghiera, rientra tra i cinque pilastri della fede islamica e viene spesso accostata all’elemosina, che nel Corano è chiamata invece Sadaqa, dalla quale si distingue in quanto non è elargita in maniera volontaria ma prevede un preciso calcolo basato sui beni posseduti da ogni individuo.
Nel sud di Gaza la situazione è emergenziale ma non si prevede che la carestia colpirà così presto come a nord, nei governatorati di Deir al Balah, Khan Younis e Rafah dove entrano la maggior parte degli aiuti si è tamponata momentaneamente una situazione che rischia di precipitare in ogni momento. Servirebbero 300 camion al giorno per sfamare tutti gli abitanti di Gaza ma solo nove convogli sono riusciti a raggiungere il nord dall’inizio dell’anno, uno dei quali è arrivato a Gaza city domenica notte, consegnando 274 tonnellate tra farina e razioni alimentari. È fondamentale per la sopravvivenza di decine di migliaia di persone che questo corridoio verso il nord rimanga aperto è che vengano implementate altre aree di accesso alla striscia, l’unica precondizione per rendere tutto questo possibile è un cessate il fuoco umanitario ora.
Per fermare la carestia a Gaza serve un’azione immediata.