Un uomo da una parte, due donne dall’altra, al centro un tavolo che definisce la differenza tra coloro che pongono le domande e colui che deve rispondere. Dopo aver subito un’aggressione, l’uomo si rivolge a chi di competenza per esporre la sua denuncia e invece di essere rassicurato, viene sottoposto ad un interrogatorio che ribalta la sua posizione rispetto a quella di chi l’ha importunato.
“E indossava quello che sta indossando adesso? Aveva bevuto? Ha gridato?”. Le due donne lo guardano con sguardo malizioso e inquisitorio e l’uomo non riesce a comprendere il senso di quelle domande e vive uno stato di evidente (e legittimo) disagio: ha valore ciò che indossava quando ha subito l’aggressione, se aveva bevuto e se ha urlato? Era spaventato, gli è stato puntato un coltello alla gola e gli è stato ordinato di consegnare i suoi averi. Ma le donne non sembrano convinte e sostengono che vestirsi in un determinato modo ed assumere atteggiamenti che lasciano trasparire una buona condizione economica, consistono in sottili modi per richiamare su di sé l’altrui attenzione e rischiare di essere aggrediti, derubati. E il non urlare, poi… come si può dimostrare che ciò che stava avvenendo non era di gradimento per l’uomo se da parte sua non c’è stato alcun segnale di protesta, di rifiuto?
L’uomo appare sconvolto e davanti alle donne che infieriscono sul suo stato d’animo già fortemente provato dall’accaduto, non sa cosa rispondere, non sa cos’altro dire per far capire che quello che ha subito non era il suo obiettivo e che non è stato motivo di godimento. Un uomo che non viene preso sul serio, che viene quasi beffeggiato dalle donne che non credono alla sua testimonianza e che sottovalutano il terrore che ha provato; un uomo che dopo aver subito un’aggressione, dopo esser stato vittima di violenza, si sente trattato da colpevole, da complice del male che ha sofferto: perché il modo di vestire può anche essere un invito e il non gridare è segno di compiacimento.
Un video che la BBC COMEDY ha realizzato per rendere chiaro (per quanto possibile) cosa prova e soffre una donna che, dopo esser stata vittima di violenza, si sente dire che se l’è cercata.
Un video sottile e tagliente, breve ed esaustivo: un uomo affranto e due donne fredde e dubbiose; quante volte è accaduto il contrario? O comunque, quante volte, una donna non ha trovato appoggio e ascolto e comprensione da parte di chi, invece, l’ha considerata ammaliante, provocante e meritevole della molestia o dell’aggressione subita?
Umiliazione su umiliazione, dolore su dolore, rabbia su rabbia: la storia che si ripete e che nel video è stata ribaltata proprio per rendere chiara l’assurdità delle domande a cui una donna perseguitata o stuprata deve rispondere. Ecco cosa può provare Lei, tutte le Lei che si sentono dire: “se l’è cercata”.
Se non è ancora chiaro: una donna non va mai a cercarsela, così come non va a cercarsela un uomo. Ma chissà perché, per quanto riguarda la prima, c’è sempre qualcuno che se lo chiede, che lo insinua, o che lo afferma. Dimenticando quanto possa fare male.
IL VIDEO: https://www.facebook.com/psicologia.applicata/
Deborah Biasco