Il viaggio: topos letterario e tema antropologico

Women, walking with what possesions they can carry, arrive in a steady trickle at an IDP camp erected next to an AMISOM military base near the town of Jowhar, Somalia, on November 12. Heavy rains in Somalia, coupled with recent disputes between clans, has resulted in over four thousand IDPs seeking shelter at an AMISOM military base near the town of Jowhar, with more arriving daily. AU UN IST Photo / Tobin Jones. Original public domain image from Flickr

Il viaggio come fondamento della natura umana e il viaggio migratorio come fuga e approdo.

Il viaggio nella letteratura e in antropologia

Dal poema di Gilgamesh all’Odissea, dall’Ulisse di Joyce a Dante e Ariosto, passando per terre sconfinate e mari insidiosi, dai viaggi agli inferi a quelli nell’inconscio, la letteratura ha trattato del viaggio, reale o immaginario, fin dai suoi albori. Si tratta di un motivo ricorrente che testimonia una caratteristica peculiare dell’essere umano: il movimento.

La scienza antropologica pone il tema del viaggio a fondamento della stessa natura umana. Nomadi, migranti, turisti, esploratori o viaggiatori in senso stretto, siamo sempre stati attratti dall’alterità, dall’ignoto.

Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza

 

Il viaggio come scoperta, crescita personale e umana, come esperienza in grado di ampliare gli orizzonti conoscitivi non è che una possibilità tra le infinite sottese a tale pratica ancestrale.

Così ora capisco coloro che viaggiano, capisco gli eterni erranti, i nomadi, i gitani: vivono ancora di più dei sedentari, dilatano il tempo, ingannano la morte

Afferma Vincenzo Consolo in Retablo attraverso il personaggio del pittore Clerici. Il viaggio, come parte del viaggio della vita, scandisce un tempo altro rispetto alla consuetudine in cui viviamo. Non è solo esperienza spaziale quella di visitare altri luoghi, ma anche temporale. Così è un viaggio la Recherche proustiana e perfino la stessa lettura di un libro, è un viaggio il sogno.

L’analisi di Julia Kristeva del rapporto con l’alterità

Secondo la psicologa e semiologa Julia Kristeva, l’avversione per qualcuno o qualcosa, sia esso luogo o persona, vale a dire per l’alterità, è il segnale che esiste qualcosa di irrisolto in noi stessi: un nodo ancora da sciogliere. In questo senso, il viaggio come volontario allontanamento dalle proprie radici si configura come fuga da sé stessi. Non accettiamo il piccolo paese in cui siamo nati o il provincialismo della città in cui viviamo perché non abbiamo fatto pienamente i conti con noi stessi.

Quello della fuga è uno dei possibili modi in cui il viaggio è declinato. Pensiamo alla fuga di Orlando, pensiamo alla fuga da uno scenario di guerra e di fame, pensiamo alla fuga per amore. Pensiamo alla fuga dal proprio Paese di origine di tanti migranti sedotti dallo stile di vita occidentale, dal benessere, dal consumismo. Non sempre per disperazione, ma spesso per inseguire un mito, una terra promessa che si rivelerà l’isola dei Feaci.

Il viaggio come fuga e approdo

In quest’accezione, il viaggio, che presuppone sempre un ritorno alla propria casa, alle proprie radici, ai propri cari e in definitiva a una dimensione ritrovata di se stessi, si configura come fuga e approdo. Le differenze sociali, culturali ed economiche che caratterizzano il divario tra Nord e Sud del mondo, fanno dell’Occidente la meta agognata da una larga fetta della popolazione mondiale. Un viaggio di sola andata per fuggire dalla povertà, dallo sfruttamento, da pestilenze, guerre e carestie, che non sono un portato del fato, ma l’imprescindibile conseguenza di un modello di sviluppo iniquo, ingiusto, insostenibile. Ecco quindi che nella contemporaneità il viaggio assume una connotazione nuova, in cui masse di disperati si riversano nei Paesi coloniali e postcoloniali: l’Occidente cosiddetto evoluto che risponde con respingimenti, violenze, connivenza con pratiche totalitarie in atto in Stati che si affacciano sul Mediterraneo quali la Libia.

La sfida che ci attende è di natura culturale e risiede nell’accoglienza, nella coesistenza, nell’inclusione. Risiede nelle fare divenire l’alterità un valore, nello sconfiggere la paura irrazionale, spesso indotta, del diverso. In questo senso la scienza antropologica, bistrattata nella società contemporanea, andrebbe praticata, diffusa, discussa con maggiore capillarità al fine di garantire, quantomeno, un minimo grado di civiltà.

 Glenda Dollo

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