Il via al decreto flussi: così il governo Meloni si procura manodopera a basso prezzo

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Il via al decreto flussi: Meloni fa marcia indietro sulle politiche migratorie, aprendo le porte a un numero di ingressi per motivi di lavoro senza precedenti: quasi 500mila in tre anni. Come mai la «sostituzione etnica», tanto temuta dal ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida, torna improvvisamente utile quando si parla di manodopera a basso prezzo?

Il via al decreto flussi: i numeri e i settori produttivi che ne beneficeranno

Cosa prevede esattamente il dpcm approvato in esame preliminare dal Consiglio dei Ministri?

Il via al decreto flussi porterà, in base alle previsioni del governo, ad un totale 452.000 ingressi (spalmati sul triennio 2023-2025), rispetto a un fabbisogno rilevato di 833.000 unità. In particolare, ci saranno136mila ingressi nel 2023, 151mila nel 2024 e 165mila nel 2025. Sono stati poi previsti altri 40mila ingressi per i settori agricolo e turistico, per smaltire le domande già presentate nel click-day del marzo scorso.

«L’Italia torna a programmare per dare risposte al mondo delle imprese che chiede manodopera, soprattutto nel comparto dell’agricoltura»,  ha affermato  il ministro Lollobrigida che pare ora rendersi conto del valore strumentale dei flussi migratori per l’economia italiana e non può quindi più gridare alla «sostituzione etnica». 
Oltre al settore agricolo, a sfruttare proficuamente  il via al decreto flussi sarà anche il settore turistico. Sono infatti questi due settori ad avere maggior bisogno di manodopera (a  basso prezzo), specialmente per il lavoro stagionale. Tuttavia,  l’agricoltura e il turismo non sono gli unici settori ad avere esigenza di lavoratori, dunque sono state estese le quote anche ad altre categorie professionali: una quota considerevole di migranti verrà impiegata nel settore dell’assistenza familiare e socio-sanitaria (in parole povere si parla soprattutto di badanti). Inoltre,  pare ci sia grande necessità di elettricisti, idraulici, autisti di autobus e lavoratori nel settore della pesca. Per il lavoro autonomo e subordinato non stagionale sono state considerate quote di  migranti nei settori turistico-alberghiero, della cantieristica navale, dell’autotrasporto merci per conto di terzi, della meccanica, dell’edilizia, delle telecomunicazioni, dell’alimentare; per il lavoro subordinato stagionale rimangono centrali i settori agricolo e turistico-alberghiero.

Sempre per i settori di agricoltura e turismo sono state previste specifiche quote per i migranti provenienti da Marocco, Tunisia, Costa D’Avorio, paesi di origine, ma anche di transito, che hanno stretto accordi con l’Italia per il contrasto all’immigrazione irregolare e che quindi svolgeranno in qualche modo una funzione “di cernita”, si può dire scegliendo chi è meritevole di accoglienza o meno.

Coldiretti, la principale organizzazione degli imprenditori agricoli a livello nazionale ed europeo, ha ringraziato il governo per questo Dpcm. Non bisogna infatti dimenticare che un prodotto su quattro viene raccolto proprio da lavoratori stranieri, si parla di ben 358mila lavoratori provenienti da 164 Paesi diversi che sono impegnati nei campi, così come nelle stalle. Questi lavoratori garantiscono più del 30% del totale delle giornate di lavoro necessarie al settore agricolo in Italia.

Ed ecco che la «sostituzione etnica» acquista utilità

Questa politica migratoria che apre le frontiere ai flussi migratori, però con la clausola che i migranti svolgano determinati mestieri (badanti, lavoratori stagionali nel settore agroalimentare e turistico-alberghiero, impiegati nel campo dell’edilizia, idraulici, elettricisti, autisti) è perfettamente in linea con le politiche in materia di lavoro dell’esecutivo, che stanno ulteriormente precarizzando il lavoro in Italia, cancellando diritti e garanzie (come il decreto 1° maggio). Infatti, fintanto che esisterà un “esercito di riserva” di persone disperate, disposte ad accettare qualunque condizione di lavoro e qualunque prepotenza da parte di veri e propri caporali legalizzati” che li spremono al massimo nei campi così come nei cantieri o negli impianti turistici per un breve periodo di tempo (“lavori stagionali”), il governo può stare tranquillo: il lavoratore che si permette di protestare o scioperare sarà prontamente sostituito!

Insomma, non c’è tanto da gioire per l’avvio del decreto flussi 2023. Questo Dpcm non segna certo un cambio di passo da parte del governo Meloni, svelando piuttosto quanto spesso le politiche in materia migratoria, tanto a destra quanto a sinistra, vengano disegnate appositamente per il soddisfacimento di potenti lobby di imprenditori che necessitano di manodopera a basso prezzo. Risulta molto amareggiante la constatazione che, invece di sottolineare le condizioni di lavoro a cui saranno costretti i migranti accolti nei prossimi anni, gli applausi per questo genere di provvedimenti arrivino anche dalla sinistra, a dimostrazione di come ormai lo Stato sia diventato a tutti gli effetti nient’altro che il “comitato d’affari” di imprenditori senza scrupoli.

Virginia Miranda

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