Il turismo sessuale è un fenomeno in continua crescita di cui si parla ancora troppo poco. Negli ultimi 20 anni, il numero dei viaggiatori internazionali è raddoppiato e secondo l’Organizzazione Mondiale del Turismo, le cifre stimate nel 2030 tenderanno ad aumentare.
Secondo ECPAT – End Child Prostitution in Asia Tourism – la proliferazione del turismo sessuale, principalmente quello minorile, è stato agevolato dai costi di viaggio sempre più accessibili ed economici, così come dalle nuove tecnologie di comunicazione. Queste ultime, infatti, renderebbero più semplici i viaggi sessuali grazie alla condivisione di informazioni.
Se si prova a fare una rapida ricerca su Google scrivendo “turismo sessuale” non si troveranno infatti articoli di giornale o comunicazioni ufficiali per la lotta a tale pratica quanto piuttosto una grande varietà di siti, blog e chat dove programmare la propria “esperienza”, chiedere consigli e lasciare recensioni.
Se in alcuni Paesi la prostituzione è legale – come in Germania o in Olanda – in altri, dove non esistono regolamentazioni specifiche sul tema, gli utenti si scambiano informazioni su come evitare problemi e sfuggire alla polizia. Questo si deve soprattutto al fatto che su tre milioni di persone che viaggiano in media ogni anno per turismo sessuale, 250 mila sono in cerca di vittime minorenni il cui sfruttamento genera un mercato miliardario, il terzo più grande dopo armi e droga, e il fenomeno è comunque sottostimato.
Gli italiani, stando ai dati più recenti di ECPAT, si collocano ai primi posti tra gli sfruttatori di minori nei Paesi mete del turismo sessuale, principalmente Paesi del “terzo mondo”. E c’è da dire che l’Italia è anche uno dei pochi Paesi dell’UE ad essere in una posizione di avanguardia sul contrasto al fenomeno dello sfruttamento sessuale, per essersi dotata di strumenti legislativi specifici in grado di rispondere in maniera concreta al fenomeno.
La presidente di Mete Onlus, Giorgia Butera, che nel 2016 aveva presentato in Senato il progetto “Stop Sexual Tourism”, ha dichiarato:
“A conferma del fatto che gli abitanti del Belpaese siano i principali fruitori del turismo sessuale con i minori, in alcune strade dell’Africa non è difficile trovare cartelli che intimano di non toccare i bambini, scritti in italiano”
“E’ inaccettabile: è una condizione conosciuta e tollerata perché non intervenire equivale a tollerare l’abuso da parte delle istituzioni che non possono non fare il primo passo, autorizzando l’accettazione passiva di tutti”, spiega Butera. Ne consegue quindi il declino dell’attenzione sul fenomeno, accompagnato silenziosamente, addirittura, dall’intermediazione delle agenzie di viaggio volta a promuovere, con tanto di brochure, le destinazioni più adeguate allo scopo.
Il turismo sessuale è il frutto marcio di una cultura distorta dello svago, forte, oltretutto della convinzione di portare ricchezza economica nei Paesi in difficoltà.
Il turismo sessuale: un fenomeno di stampo colonialista
Ma molta responsabilità appartiene anche alla cultura, largamente tollerante, nei confronti di questa forma di turismo. Il fenomeno viene ricollegato anche al fatto che gli occidentali si sentano svincolati dalle norme sociali (e penali) che rispetterebbero nei propri Paesi d’origine: ciò spiega il motivo per cui i pedofili siano solo una minoranza rispetto alla maggior parte dei viaggiatori che partono alla ricerca di “un’esperienza trasgressiva”.
Chi va alla ricerca di soggetti più fragili in Paesi lontani e altrettanto fragili, si sente impunito, se non addirittura legittimato, spesso agendo nella convinzione che in questi paesi sia permesso, se non addirittura incoraggiato, questo tipo di sfruttamento. Accedere al sesso di giovanissimi e giovanissime nella vecchia Europa e negli Stati Uniti, ad esempio, è estremamente costoso e comporta dei rischi altissimi; inoltre, si tratta di un comportamento talmente tanto riprovevole che il controllo sociale ne soffoca ogni tipo di pratica. Recarsi in paesi lontani e accedere a queste prestazioni, non solo consente di superare gli ostacoli economici, ma abbassa anche il controllo sociale e quindi l’autocensura.
Soprattutto, l’intero meccanismo è studiato perché i freni morali del turista, che nel proprio paese sarebbero ben più forti, si allentino al confronto con una realtà che, come si dice quando non si vuol pensare, “è così”. In questo modo il turista si convince che nulla è riprovevole nel suo comportamento e che, tutto sommato, le sue vittime non siano tali, perché è così che vanno le cose “lì”. In sostanza, il luogo, “lì”, diventa una zona franca per le regole morali. Le “nostre” regole morali occidentali valgono qui, ma non altrove.
Questa idea delle relazioni sessuali tra Occidente e Paesi “altri” ha piantato le proprie radici durante il periodo coloniale e imperialista. Il turismo sessuale è una pratica culturale che risponde a principi commerciali e di potere che regolano i rapporti tra chi ha denaro e chi ha fame. Una forma di colonialismo contemporaneo che si sposta continuamente da un luogo all’altro del pianeta a seconda della disponibilità del denaro e della distribuzione della fame.
Turismo sessuale: le mete più “gettonate”
Non sorprende allora che le mete privilegiate del turismo sessuale si trovino in Paesi principalmente poveri, caratterizzati da forti crisi economiche e quindi con un conseguente alto tasso di disoccupazione. Ma anche Paesi afflitti da guerre e migrazioni. Per non parlare dei Paesi in cui ancora prevale la logica patriarcale in cui la disparità di genere è enorme e dove quindi le norme della società sono ancora basate sulla mascolinità e sulla sessualità. In generale, Paesi in cui la corruzione è dilagante e il reato inesistente.
Asia
Tra questi, i più famosi, soprattutto per la prostituzione minorile, sono i paesi asiatici come le Filippine e la Thailandia in cui le vittime più colpite sono proprio bambine tra gli otto e sedici anni. Si tratta di situazioni drammatiche, in cui questo orribile commercio avviene quasi sempre con la complicità delle autorità. Il perché è presto detto: il turismo sessuale in Thailandia ha triplicato il numero di turisti, aumentando l’entrata di valuta straniera. Zone di confine come il Myanmar, il Vietnam e la Cambogia, dove il mercato delle vergini è particolarmente sviluppato, vengono scelte invece per il basso costo economico.
America Latina
Altra meta gettonata sia da uomini che donne sono i Caraibi, in particolare la Giamaica, le Barbados, Santo Domingo e Cuba. Si tratta di Paesi che soffrono molto spesso di situazioni di grande povertà infantile, associata a droga e corruzione. Queste località sono particolarmente note, insieme ad alcuni paesi africani e dell’est Europa, per il “romance tourism”, ovvero un tipo di turismo sessuale indicato per le donne in cerca di esperienze romantiche e coinvolgenti con ragazzi più giovani. In questo caso, alla pratica criminale si sostituisce un tragico lassismo nel condannarla a causa del radicato pregiudizio secondo cui le donne non sarebbero in grado di perpetrare abusi sessuali. Un esempio lampante è un servizio de Le Iene che raccontava in modo goliardico il viaggio di due donne italiane in Kenya “alla ricerca del Big Bamboo”, parlando appunto di turismo romantico con tono scherzoso e indugiando sulle allusioni razziste delle intervistate. Se la puntata avesse mostrato sessantenni uomini in cerca di ragazzine in Thailandia il risultato sarebbe stato lo stesso? Si fa fatica a crederlo.
Africa
L’Africa è il continente emergente in fatto di turismo sessuale. In particolare, Paesi come il Gambia, la Tanzania e il Kenya, sono luoghi dove tale forma di turismo sembra avere radici storiche e risulta oggi particolarmente consolidato e strutturato. Ma anche Paesi come Marocco ed Egitto, considerati dei veri e propri hub internazionali della prostituzione in Nord Africa. Oppure la Nigeria, dove il problema della prostituzione forzata è più grave che in qualsiasi altro Paese africano e il fenomeno sembra legato a forme di sfruttamento e reti criminali riconducibili alla tratta internazionale di esseri umani. A causa della mancanza di controlli, il continente africano è diventato una delle mete preferite dei turisti sessuali, prevalentemente europei. Infine, anche in questo caso, i governi africani preferiscono tacere e appaiono lenti a prendere misure di contrasto poiché temono di colpire gli stranieri coinvolti, spesso fonte di guadagno per Paesi ancora poco aperti al turismo di massa.
Dagli anni ’90, il Gambia è diventato una delle mete preferita dell’Africa occidentale per donne europee alla ricerca di esperienze sessuali con giovani africani, talvolta minorenni. Il fenomeno del turismo sessuale in Gambia sembra avere radici storiche legate al colonialismo e alla dipendenza dal Regno Unito. Il Gambia è stato infatti un Paese al centro della tratta degli schiavi e per molti anni la popolazione locale ha vissuto un periodo buio, segnato dalla supremazia bianca, dal razzismo e dallo sfruttamento.
Negli anni post-indipendenza, agenzie di viaggio internazionali del Regno Unito hanno iniziato a introdurre pacchetti turistici a basso costo in questo piccolo Paese dell’Africa occidentale. Dopo oltre trent’anni di viaggi di donne di mezza età arrivate con l’intento di fare turismo sessuale, si sono “istituzionalizzate” figure che di questa opportunità ne hanno fatto un lavoro. Si tratta dei cosiddetti “bumsters”, giovani uomini gambiani impoveriti che si concedono a donne occidentali in cambio di regali, denaro oppure nella speranza di ottenere un visto per un Paese più ricco.
Il turismo sessuale viene praticato soprattutto nei complessi alberghieri sulla terraferma della Tanzania, non lontano dal confine con il Kenya. Il fenomeno è ancor più visibile e diffuso a Zanzibar, dove molti minori si concedono ai turisti che frequentano regolarmente l’isola per guadagnarsi da vivere. Secondo il Programma congiunto delle Nazioni Unite sull’AIDS (UNAIDS), la stragrande maggioranza dei turisti coinvolti proviene dall’Europa occidentale – soprattutto Francia e Italia – e dal Nord America. Secondo i dati delle Nazioni Unite, il 97% dei lavoratori del sesso in Tanzania è costituito da donne, la maggior parte delle quali sono minorenni, il che rappresenta un vero problema anche da punto di vista sanitario, che ha visto negli ultimi anni un aumento esponenziale di contagi da AIDS.
Anche la costa del Kenya sta rapidamente diventando una destinazione popolare per turisti alla ricerca di prostitute minorenni. Un recente studio dell’UNICEF ha reso noto che il 30% delle ragazze di età compresa tra i 12 e i 18 anni nelle zone costiere del Kenya è coinvolto in qualche forma di lavoro sessuale. L’UNICEF stima, inoltre, che tra i lavoratori del sesso kenioti, uno su dieci ha iniziato prima di raggiungere la pubertà. La zona costiera del Kenya ha un’alta incidenza di sfruttamento sessuale minorile a causa della povertà diffusa e dell’accettazione del fenomeno da parte della società. Il turismo sessuale è infatti considerato dalla società come un mezzo accettabile, anche per i bambini, per guadagnarsi da vivere. Per i genitori e i parenti, concedere il proprio figlio o la propria figlia a turisti occidentali rappresenta il modo più veloce per far uscire la famiglia dalla povertà.
Turismo sessuale: quali soluzioni si possono adottare per arginare il fenomeno?
Secondo l’ECPAT, per contrastare il fenomeno del turismo sessuale, in particolare quello che coinvolge vittime minori, si ritiene necessario lo sviluppo di campagne globali, nazionali e regionali per rompere il silenzio sulla questione, così da promuovere la consapevolezza e informare il pubblico su come rispondere o riferire il crimine. Tali sforzi, dovrebbero coinvolgere gruppi specifici e interi contesti geografici, comprese le agenzie turistiche e le destinazioni che ospitano viaggiatori e turisti. L’industria dei viaggi e del turismo è nella posizione privilegiata e ideale per sensibilizzare il pubblico su questo crimine.
In molti aeroporti internazionali in tutto il mondo sono state condotte campagne di sensibilizzazione e informazione sul tema, sui suoi effetti dannosi a lungo termine per le vittime, soprattutto le più piccole e le conseguenze legali per i responsabili. Una cosa simile è stata fatta anche in Italia. Nel 2016, all’interno della campagna “Stop sexual tourism”, in 57 aeroporti sono stati affissi manifesti informativi per scoraggiare le partenze verso mete che hanno visto crescere significativamente il turismo lavorativo, strettamente associato, spesso, a quello sessuale.