Il trionfo della persistenza nella lunga lotta delle donne italiane per il voto

lotta delle donne italiane per il voto

Il primo febbraio 1945, un momento epocale nella storia italiana, il decreto legislativo n. 23 estese alle donne il diritto di voto. Era il culmine di una lunga e tenace lotta delle donne italiane per il voto, una battaglia che avrebbe portato a momenti straordinari di partecipazione civica. Le donne si preparavano con entusiasmo a esercitare questo diritto acquisito per la prima volta nelle elezioni amministrative della primavera del 1946 e, in seguito, in massa, in occasione delle elezioni politiche del 2 giugno 1946. Era il trionfo della loro persistenza e il segno di un cambiamento epocale nell’Italia del dopoguerra.


Nel 1946, il vento del cambiamento soffiava sull’Italia. Era un momento di rinascita dopo anni bui in cui centinaia di donne avevano sacrificato le loro vite per impedire che il fascismo risorgesse e che la guerra tornasse a insanguinare le famiglie italiane. Il 15 marzo di quell’anno, “Noi donne”, l’organo ufficiale dell’Unione donne italiane (UDI), lanciò un accorato appello per il voto femminile, un appello che sarebbe stato cruciale per il futuro del paese.

L’Italia era finalmente libera dal giogo del nazifascismo, e ora aveva di fronte una nuova opportunità: la prima elezione dei 5722 consigli comunali. Era giunto il momento per le donne italiane di recarsi con fierezza alle urne, in onore di figure coraggiose come Irma Bandiera, la partigiana bolognese del Gapp catturata e uccisa dai nazifascisti due anni prima. Queste donne avevano difeso la pace con tutte le loro forze, e ora era il momento per le loro compatriote di onorarne la memoria. Teresa Mattei, un’altra eroina della Resistenza, aveva espresso l’importanza di questo passo epocale verso la democrazia:

“L’esercizio di un diritto corrisponde sempre, nella vita, all’adempimento di un dovere,” affermava, “e se un nuovo diritto è oggi riconosciuto alle donne, ciò significa che esse devono rispondere a quanto il Paese chiede loro.”

Ma arrivare a questo punto non era stato facile. Nel 1945, il Comitato nazionale pro-voto, composto dall’UDI e dai Centri femminili dei principali partiti politici, aveva rivolto un appello alla presidenza del consiglio dei ministri chiedendo l’estensione dei diritti elettorali alle donne. Il governo aveva risposto positivamente, emanando un decreto luogotenenziale l’1 febbraio 1945. Tuttavia, per molte donne, questo non bastava. Teresa Mattei, tra le voci di migliaia di donne, aveva insistito sul fatto che non bastava solo il diritto di voto, ma anche l’eleggibilità. Finalmente, nel marzo 1946, il decreto n. 74 aveva sancito l’eleggibilità delle donne, mettendo fine a una lunga lotta per ottenere il diritto di partecipare attivamente alla politica nazionale.

La strada verso il voto femminile era stata tortuosa. Le leggi del Regno di Savoia avevano lasciato alle donne italiane il peso dell'”incapacità giuridica,” costringendole sotto la tutela dei loro mariti secondo il codice Pisanelli del 1865. Anche la Chiesa, nonostante la sua opposizione allo sfruttamento del lavoro femminile, non aveva sostenuto l’emancipazione delle donne, ritenendo che fossero destinate solo ai lavori domestici.

Nel 1906, una petizione a favore del suffragio, firmata anche dalla pedagogista Maria Montessori, era stata presentata al Parlamento da Anna Maria Mozzoni, una pioniera del movimento emancipazionista italiano. Tuttavia, le divisioni avevano impedito progressi significativi. Nel 1912, un gruppo di deputati socialisti aveva tentato senza successo di ottenere il voto per le donne, ma si erano scontrati con una ferma opposizione.

Dopo la Prima Guerra Mondiale, le donne italiane avevano trovato sostegno nel partito popolare di don Luigi Sturzo. Nel 1919, la Camera aveva finalmente approvato la legge sul suffragio femminile, ma il Senato non aveva potuto esprimere il proprio parere prima dello scioglimento del Parlamento.

Nel 1922, il socialista Modigliani aveva presentato una proposta di legge per estendere il diritto di voto alle donne, ma non era stata discussa. Con l’avvento del fascismo, il diritto di voto delle donne era stato ridotto a poche categorie, mentre il regime le aveva principalmente confinate ai ruoli tradizionali di madri e custodi del focolare.

Tuttavia, la guerra e la Resistenza avevano portato una ventata di cambiamento. Nel 1943, a Milano, erano nati i Gruppi di difesa della donna, con l’obiettivo di sostenere i partigiani e di emancipare le donne. L’UDI e il CIF, organizzazioni di ispirazione comunista e cattolica, avevano svolto un ruolo fondamentale nel progresso verso il diritto di voto. Nel 1944, su iniziativa dell’UDI, era stato creato un Comitato pro-voto che avrebbe portato all’emissione del decreto legislativo luogotenenziale n. 23 l’1 febbraio 1945, grazie all’impegno di figure come Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti.

Finalmente, tutte le donne, ad eccezione delle prostitute “clandestine,” avevano ottenuto il diritto di voto attivo. Erano orgogliose e determinate, e avevano esercitato il loro diritto con entusiasmo alle elezioni amministrative della primavera del 1946. Poi, alle elezioni politiche del 2 giugno 1946, più di 12 milioni di donne avevano votato con fierezza, contribuendo a dare vita alla Repubblica italiana. Oltre ai 556 “padri” della patria, avevano eletto per la prima volta ventuno “madri,” dimostrando al mondo intero la forza e la determinazione delle donne italiane. Era l’inizio di un nuovo capitolo nella storia del paese, un capitolo in cui le donne avevano finalmente ottenuto il diritto di influenzare il proprio futuro e di costruire una nuova Italia insieme agli uomini. Era un trionfo della perseveranza, una vittoria che avrebbe cambiato per sempre il corso della storia italiana.

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