Vi è mai capitato di sentirvi dire di abbassare i toni mentre esponevate il vostro punto di vista senza nascondere le vostre emozioni? O forse, qualche volta, vi è capitato di essere proprio voi a farlo. Ecco, questa pratica ha un nome ben preciso, si chiama “tone policing”.
Cosa significa “tone policing”?
Il termine “tone policing” (detto anche tone argument, tone trolling o tone fallacy) indica la pratica di chiedere (per dire) a una persona che sta esprimendo il suo punto di vista e le sue emozioni in merito a una situazione di disuguaglianza di abbassare i toni.
In altre parole, chi fa tone policing cerca di sminuire ciò che una persona vittima di oppressione e disuguaglianze sta dicendo, mettendo in discussione il modo in cui lo dice.
Il tone policing può essere considerato una vera e propria forma di micro-aggressione messa in atto da chi si trova in una posizione di privilegio.
Perché questo avviene?
La risposta è semplice. Avviene perché chi sta in una posizione di potere, non riuscendo a controbattere a quanto l’interlocutore sta dicendo, svia l’argomento puntando sui toni: se non posso replicare a ciò che stai affermando, cosa posso fare per delegittimare la tua posizione? Ah sì, trovato, dico che i tuoi modi sono eccessivi!
Ecco, funziona esattamente così.
A volte le persone privilegiate, credono di avere il diritto, anzi, il dovere morale di dettare le regole di battaglie che non sono le loro. Allora si rimboccano le maniche e tentano di insegnare a chi subisce oppressione da tutta la vita cosa fare, cosa dire e come dirlo per essere preso sul serio.
Chi subisce maggiormente il tone policing?
Provate a indovinare.
Ebbene sì, proprio le donne. Ma non solo.
Chiunque faccia parte di una minoranza è potenzialmente colpito da questo fenomeno: le persone con disabilità, gli appartenenti alla comunità lgbtq+, solo per citarne alcuni. Ci sono poi alcune categorie di persone che subiscono questa pratica in misura maggiore. In particolare le donne nere. Queste ultime si trovano nella doppia condizione di donna e di apparteneza a una minoranza etnica, diventando così vittime di discriminazioni dovute al genere e discriminazioni di tipo razziale.
È molto diffuso lo stereotipo per cui le donne nere siano particolarmente aggressive e sempre arrabbiate. È quasi sempre così che vengono rappresentate.
Perché è sbagliato?
Fare tone policing è un atteggiamento profondamente sbagliato perché significa mettere in discussione le emozioni di una persona. Se non sono io il soggetto oppresso non so quali emozioni si provano e, soprattutto, non ho alcun diritto di decidere come bisogna sentirsi.
Le persone che ogni giorno sono costrette a subire discriminazioni e violenze invece hanno tutto il diritto di essere arrabbiate, stanche e frustrate. Ma soprattutto, hanno il diritto di esprimere questa rabbia e questa frustrazione. Così come hanno il diritto di condurre le loro battaglie con i toni che ritengono più opportuni.
Il problema vero è che il tone policing non è altro che l’ennesima manifestazione degli stereotipi di genere che vogliono le donne pacate, accondiscendenti, dolci e remissive. Di fatti un uomo che si batte per i suoi ideali è un uomo forte e assertivo. Ma una donna che si batte per i suoi ideali che cos’è? È una donna isterica, una donna “sempre arrabbiata”. Quante volte le femministe sono state bollate in questo modo? “Oh, ma voi siete sempre arrabbiate. Ma fatevela una risata ogni tanto”.
Lo stereotipo principale su cui si fonda il tone policing è quello secondo cui gli uomini sono razionali, mentre le donne sono emotive. In base a questo assunto, le donne reagirebbero in maniera estremamente irrazionale a discriminazioni che, in fondo, esistono solo nella loro testa, mica sono reali. Agli uomini spetterebbe dunque l’ingrato compito di riportarle alla ragione.
Non se ne può più.
Cosa fare quindi?
La cosa da fare in questi casi è innanzitutto imparare a riconoscere il tone policing in modo da poterlo combattere. Subire tone policing non è affatto piacevole, e praticarlo rappresenta un vero e proprio attacco alla persona che sta esprimendo le proprie emozioni.
È bene mettersi in testa che ognuno reagisce in modo diverso alle ingiustizie, alle discriminazioni e alle disuguaglianze. La rabbia e la frustrazione, in questi casi, sono normali e legittime.
Pertanto, se siamo noi i soggetti oppressi non sentiamoci mai in torto per la nostra indignazione. Se invece siamo dall’altra parte, dalla parte del potere e del privilegio, non arroghiamoci mai il diritto di decidere in che modo qualcuno dovrebbe condurre la propria battaglia.
Federica Fiorello