Il terremoto dell’Irpinia, verificatosi la sera del 23 novembre 1980, rappresenta una delle pagine più drammatiche della storia italiana recente. Con una magnitudo di 6.9 e una durata di appena 90 secondi, questo evento sismico devastò vaste aree della Campania e della Basilicata, causando migliaia di vittime e lasciando centinaia di migliaia di persone senza una casa. La tragedia non solo mise in evidenza la vulnerabilità del territorio italiano, ma rivelò anche le lacune nelle strutture di emergenza e nella gestione dei soccorsi. Nonostante gli sforzi di solidarietà nazionali e internazionali, le difficoltà affrontate durante e dopo il sisma segnarono profondamente il tessuto sociale e politico del Paese.
L’inizio di un dramma: la scossa del 23 novembre 1980
Alle 19:34 di domenica 23 novembre 1980, un violento terremoto di magnitudo 6.9 colpì l’Italia meridionale, sconvolgendo le province di Avellino, Salerno e Potenza. La scossa principale, seguita da altre due di intensità poco inferiore, devastò un’area di circa 17.000 chilometri quadrati. L’epicentro del terremoto dell’Irpinia fu individuato tra Castelnuovo di Conza, Conza della Campania e Laviano, mentre l’ipocentro si trovava a una profondità di circa 10 km.
Il bilancio fu terribile: circa 3.000 vittime, 9.000 feriti e 280.000 sfollati. Il terremoto dell’Irpinia è ancora oggi una delle pagine più buie della storia italiana e, in particolare, del Mezzogiorno. il sud Italia infatti non ha soltanto sofferto in quei 90 secondi, quando per un attimo il tempo si è fermato mentre la terra tremava. Ancora si scontano i danni, dopo più di quarant’anni, che la speculazione edilizia e la mancata ricostruzione del territorio, nella fase successiva, hanno causato.
Le prime difficoltà: geografia e soccorsi
Il contesto montuoso e le avverse condizioni meteo aggravarono la situazione nei giorni successivi al terremoto dell’Irpinia. Intere comunità rimasero isolate a causa di frane e strade interrotte. La macchina dei soccorsi, all’epoca poco strutturata, si attivò con grande difficoltà. Inizialmente, furono le autorità locali e i volontari a gestire l’emergenza, ma entro 48 ore giunsero 27.000 militari. Circa 10.000 tende e 1.231 vagoni ferroviari furono utilizzati per ospitare i senzatetto, in attesa di soluzioni più adeguate.
Il dramma del terremoto dell’Irpinia è passato sotto gli occhi di tutta Italia: dolore e devastazione hanno regnato in quelle terre per giorni e settimane, mentre i soccorsi arrivavano a stento o erano in netta insufficienza. Per il terremoto dell’Irpinia furono stanziate circa 30 miliardi di lire da parte del Governo, per procedere alla ricostruzione e alla sistemazione di nuovi alloggi per gli sfollati.
“Non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi”
Affermava Sandro Pertini, allora Presidente della Repubblica, dopo essersi recato sul posto devastato e aver visto, da vicino, il dolore delle vittime e dei loro cari.
La tragedia mobilitò l’intero Paese e suscitò l’interesse internazionale. Stati esteri come Austria, Francia e Stati Uniti inviarono aiuti in denaro e beni di prima necessità. Complessivamente, 4.792 vigili del fuoco, supportati da forze armate, Guardia di Finanza e Corpo Forestale, si unirono agli sforzi per salvare vite umane e assistere i sopravvissuti.
Il terremoto dell’Irpinia e le sue caratteristiche
Questo evento sismico, considerato uno dei più gravi della storia italiana, si differenziò per la sua origine. Studi successivi rivelarono che non fu causato dallo scontro di placche tettoniche, come inizialmente ipotizzato, ma dall’attivazione di una faglia estensionale, caratteristica di alcune porzioni dell’Appennino.
Il terremoto dell’Irpinia fu un momento di svolta per il Paese, portando a una modernizzazione del sistema sismico e alla creazione di una Protezione Civile più efficiente. Nonostante abbia generato, per necessità, un’eredità che ha cambiato il sistema sismico oggi, quello di allora rimane un monito per l’Italia sulla necessità di prevenzione e preparazione contro i disastri naturali.
La gestione a lungo termine e le ombre della ricostruzione
La mancanza di una Protezione Civile strutturata rallentò la risposta iniziale e la ricostruzione. Nonostante i fondi stanziati negli anni successivi, a vent’anni dal sisma molte zone non erano ancora completamente ricostruite e migliaia di persone vivevano in alloggi provvisori.
Tante furono le famiglie rimaste senza una casa, in eterna attesa, mentre nuovi alloggi venivano edificati nelle periferie cittadine, sotto l’interesse e la speculazione dei piccoli e enormi costruttori. Il terremoto dell’Irpinia rimane una ferita ancora aperta sopratutto per tutti quegli interessi di speculazione che hanno marciato sulla pelle di sfollati, morti e sopravvissuti: ricostruzioni e riqualificazioni che avrebbero dovuto dare una nuova speranza di vita al Mezzogiorno ma che, come da copione, sono finite nelle mani dei grandi affaristi.
Ancora oggi, dopo la costruzione di mostri a cielo aperto, che ancora oggi si possono vedere per le strade di quell’area terremotata, l’Irpinia mostra la ferita ancora aperta del terremoto nei centri antichi come quelli di Conza e Apice.