Il tabù dell’antitotalitarismo e il silenzio su un’epoca di contraddizioni politiche

epoca di contraddizioni politiche

Nell’attuale panorama politico e storico, spesso ci troviamo a riflettere su un’epoca di contraddizioni politiche che sembra essere stata in gran parte dimenticata. Mentre il mondo si evolve rapidamente, è fondamentale rivolgere uno sguardo critico al passato per trarne insegnamenti preziosi che possono ancora avere un impatto significativo sul nostro presente. L’antitotalitarismo è un concetto che ha attraversato momenti di tensione e confronto ideologico, in cui si sono scontrate diverse visioni del mondo. Analizzando questi periodi, possiamo scoprire le radici delle divisioni attuali e forse trovare un terreno comune su cui costruire un futuro più inclusivo e consapevole.


In un’epoca in cui la politica e la storia sono oggetto di continue discussioni e revisioni, è essenziale affrontare una riflessione sulla necessità di rivalutare le personalità e i partiti che hanno contribuito a modellare la Repubblica Italiana da una prospettiva antitotalitaria. L’ipotesi al centro di questa discussione è che l’Italia abbia sperimentato un’evoluzione politica singolare, caratterizzata da un notevole deficit di dibattito storico e politico sull’antitotalitarismo.

Un elemento chiave di questa narrazione è la significativa influenza esercitata dal Partito Comunista e dall’intellettualità di sinistra, che hanno in buona parte contribuito a relegare in secondo piano le forze e i leader antitotalitari che cercavano di contrastare qualsiasi forma di autoritarismo.

Nel periodo postbellico, che copre un quarto di secolo, i comunisti hanno assunto un ruolo predominante nella vita culturale italiana, con il risultato che concetti storici come l’antifascismo e l’anticomunismo hanno acquisito un’aura quasi mitologica, diventando dogmi insindacabili nei circoli dell’università, dell’editoria e del cinema.

All’interno di questo quadro, l’antifascismo è stato ampiamente interpretato come un presupposto del mondo comunista, dando l’idea che chiunque si opponesse al fascismo dovesse implicitamente abbracciare l’ideologia comunista. Inoltre, l’anticomunismo è stato spesso considerato un attributo secondario del fascismo, un tratto distintivo dei movimenti reazionari.

Da parte loro, molti intellettuali di sinistra hanno descritto la storia d’Italia del Novecento come una dialettica tra il rosso (rappresentato dai comunisti) e il nero (rappresentato dai fascisti), con scarsa considerazione per altre posizioni politiche, come quella dei democratici anticomunisti, che pure hanno giocato un ruolo rilevante nella nascita della Repubblica. È sembrato un paradosso il fatto che un antifascista democratico potesse anche essere anticomunista e persino “antitotalitario”.

In contrasto, in altri paesi europei come il Regno Unito, la Francia e la Germania, numerose personalità intellettuali, tra cui Raymond Aron, George Orwell, Albert Camus, Simone Weil, Isaiah Berlin, Hannah Arendt e Tony Judt, sono state considerate “antitotalitarie” poiché nelle loro opere hanno riconosciuto l’incompatibilità dei tre sistemi politici e ideologici dominanti del XX secolo – fascismo, nazismo e comunismo – con i principi democratici.

Tuttavia, in Italia, già negli anni ’20 e ’30 del Novecento, alcune figure politiche di rilievo avevano compreso che il fascismo rappresentava un regime “totalitario”, in un’ottica paragonabile al bolscevismo. Giovanni Amendola, Luigi Sturzo e Luigi Salvatorelli hanno utilizzato il termine “totalitario” per descrivere il fascismo, in parallelo al bolscevismo. In seguito, quando il nazismo emerse in Germania negli anni ’30, il termine “totalitario” fu esteso anche a quel regime.

Alcune personalità di spicco, come Guglielmo Ferrero, intellettuale liberale, hanno dedicato i loro sforzi a studiare la crisi europea che seguì la Prima Guerra Mondiale. Nel suo articolo del febbraio 1940, intitolato “Le origini del totalitarismo”, Ferrero sostenne l’antitesi tra democrazia e totalitarismo, riconoscendo l’importanza vitale di questa distinzione, specialmente in un momento in cui tre democrazie – Francia, Inghilterra e Finlandia – erano in guerra contro due stati totalitari, Germania e Russia.

Anche il radicale Francesco Saverio Nitti, già presidente del Consiglio negli anni ’19-’20, aveva compreso la natura totalitaria del fascismo. Nel 1938, in occasione delle leggi razziali in Italia, Nitti affermò che i regimi totalitari, inclusi fascismo, nazismo e comunismo, condividevano elementi distintivi, tra cui il partito unico, la divinizzazione del capo, il controllo dei mezzi di comunicazione e della cultura, e la prospettiva di una rigenerazione politica messianica.

Questi intellettuali e leader politici provenienti da varie fazioni – socialista democratico, cristiano, liberale e radicale – avevano già identificato somiglianze tra i regimi totalitari come il fascismo e il nazismo, e lo stalinismo comunista. Tuttavia, l’intellettualità di sinistra vedeva una continuità legittima tra antifascismo, democrazia e comunismo, una prospettiva che si consolidò ulteriormente dopo la Seconda Guerra Mondiale.

La divergenza tra gli antifascisti di sinistra e gli antifascisti democratici emerse chiaramente durante la Resistenza. Dopo la sconfitta del nazifascismo, il Partito Comunista Italiano (PCI), guidato da Palmiro Togliatti, mantenne un atteggiamento ambiguo riguardo alle libertà internazionali. Furono gli antifascisti democratici a criticare il legame tra il PCI e l’Unione Sovietica di Stalin, in quanto il partito presentava un duplice volto: uno nazionale e parlamentare, e uno internazionale e ossequioso verso l’Unione Sovietica di Stalin.

Questa divisione tra gli antifascisti divenne evidente durante la Guerra Civile Spagnola, quando i comunisti colpirono i libertari del POUM in linea con le direttive del Comintern. Il conflitto politico raggiunse il suo culmine nel 1937 a Barcellona, quando fu assassinato Camillo Berneri, un anarchico italiano. Benché ci fossero prove del coinvolgimento dei comunisti, queste furono nascoste, tanto che il leader socialista Pietro Nenni dichiarò che Berneri non era morto in battaglia, ma era stato assassinato dai comunisti, e dobbiamo dirlo. Quando il profondo intellettuale antifascista Francesco Saverio Nitti ricordò l’evento in un articolo, Togliatti reagì con forza contro queste affermazioni, sostenendo che Nitti stesse diffondendo calunnie anticomuniste.

Il conflitto tra le diverse fazioni dell’antifascismo continuò anche durante la Resistenza e oltre, specialmente perché il PCI cercava di stringere alleanze con le forze democratiche, soprattutto i cattolici. Nonostante ciò, la temporanea collaborazione tra comunisti e democratici contribuì a creare il mito dell’antifascismo unitario, che sarebbe diventato il fondamento della Repubblica nata dalla Resistenza.

Il passato politico italiano è intriso di complesse sfumature e divisioni, che richiedono una riflessione approfondita e aperta per definire il presente e il futuro della politica nel paese. La comprensione di queste complesse dinamiche è essenziale per una discussione critica e costruttiva della storia italiana.

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