Sparacio, dal Clan Costa ai rapporti con Di Blasi
Luigi Sparacio, boss della mafia messinese fino agli anni ’90. Vecchio punto di riferimento per Cosa Nostra e legato a Nitto Santapaola: per conto di quest’ultimo, perpetua gli affari con la ‘ndrangheta calabrese. Centro operativo di Sparacio e compagnia bella: viale Giostra di Messina.
Sin dai primi omicidi compiuti in tenera gioventù, Sparacio appartiene al clan di Gaetano Costa detto facc’i sola. Bell’uomo dai lineamenti assai fini, Costa passa alla cronaca come l’artefice dell’omicidio coi tacchi a spillo. Vestito da donna per avvicinare il bersaglio: il miglior modo per freddare il nemico. Nel maxiprocesso istruito dal pool di Falcone e Borsellino, Costa tira una scarpa al proprio avvocato – un messaggio per gli operanti esterni: l’avvocato deve morire.
Vent’anni prima, le forze dell’ordine mettono le manette al latitante Sparacio, in seguito a un blitz. In carcere conosce Domenico Di Blasi, un altro storico boss di Messina. Inappagato dal Clan Costa, Sparacio si mette in affari col nuovo compare. Negli anni ’90, il suddetto diviene collaboratore di giustizia. L’aspirante luterano viene investito dalla controriforma degli ex colleghi, i quali l’accusano di omicidi e di estorsioni. Lui stesso ammette nefandezze di varia natura.
Emergenza Coronavirus: Messina celebra il funerale di Zio Sarino
Emergenza Coronavirus: oltre 60.000 decessi in tutto il mondo. A New York si seppelliscono i morti in fosse comuni “per alleggerire il peso dell’obitorio della città.” A Bergamo abbiamo visto i camion dell’esercito trasportare le bare: non ci sono posti al cimitero, dunque “i militari portano i feretri nei forni crematori di Bologna e di Modena.” (La Stampa). Mentre la nostra nazione è costretta alla quarantena, in Sicilia è sempre permesso celebrare i funerali degli intoccabili.
Messina: “Un corteo di familiari e di amici seguono l’auto con feretro.” (Il Fatto Quotidiano). Muore Rosario Sparacio detto zio Sarino, fratello del celeberrimo. “Siamo brave persone” rivendicano i parenti, in seguito alla polemica. Difatti, Luigi ha sempre ribadito l’estraneità ai fatti di Rosario: lui è stato condannato solo per estorsioni, mentre il figlio per associazione a delinquere di stampo mafioso. Alla fine sono cose che capitano: e poi, la famiglia è sempre la famiglia.
Mentre per gli italiani è vietato partecipare a funerali e organizzare cortei funebri, i Sparacio ardiscono una processione degna del miglior Manzoni. D’altra parte, s’incazzano pure quando i giornalisti ne parlano. Intanto la polizia apre un’indagine.
Il sindaco di Messina, noto rivoluzionario degno di Che Guevara
Il sindaco di Messina Cateno De Luca è diventato un personaggio virale, in ambo i sensi: prima dell’emergenza Coronavirus, al massimo lo conoscevano soltanto i suoi compaesani. Oggi il primo cittadino dello Stretto s’improvvisa Duce, sfila in vestaglia, mostra le palle e sfida a duello il Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, beccandosi una bella denuncia.
Comincia tutto col video d’un drone che gira per Messina, nell’intento di scovare chi non rispetta la quarantena, con un’altoparlante che trasmette la voce del sindaco: “Dove cazzo andate?” A prescindere dalla mendacità del video (pura propaganda) ci siam detti: ben venga, quando non funzionano le buone ci vogliono le cattive. Quando la filosofia risulta inefficace, arriva il momento di usare l’arroganza. La gente, spesso e volentieri, è indisciplinata. Il fine giustifica i mezzi.
Giunge l’antidoto alla burocrazia: l’uomo alpha, col cazzo duro, pronto a farsi arrestare pur di difendere la propria città. “Nel Truman Show in salsa sicula” (Il Fatto Quotidiano) De Luca protesta contro gli sbarchi senza controllo allo Stretto e contro la sciatteria degli untori. In realtà il sindaco pare puntare alla presidenza della regione, “poltrona alla quale s’era candidato senza successo nel 2012.” De Luca tace sul funerale di Zio Sarino, in tutto ciò.
Uomo alpha, quando conviene
Pronto a farsi mettere le manette, quando si scontra col Ministro dell’Interno, ma con Cosa Nostra è meglio tacere. Dinanzi al corteo funebre organizzato dai Sparacio, il sindaco di Messina non ha più parlato di trincee. Il noto rivoluzionario “non si fa pisciare addosso da Roma” ma si fa pisciare addosso ben volentieri dalla mafia. Pronto a farsi mettere le manette, impreparato ad abbracciare l’ipotesi della scorta. Altro che rivoluzione: De Luca ribattezza la tradizione dell’omertà.
Il sindaco azzarda prender le vesti di Mussolini: come minimo, all’epoca il Duce incaricò il prefetto Cesare Mori di contrastare il fenomeno mafioso. De Luca tace sul funerale di zio Sarino, in tutto ciò. Fare il politico, il giornalista o il poliziotto comporta rischi e responsabilità. Se il sindaco tiene le palle solo per mostrarle agli artisti di strada, probabilmente è meglio occuparsi d’altro nella vita.
Sebbene si trattasse d’un fattore propagandistico (Mussolini che dichiara abolita la mafia nel 1929 sembra Di Maio che dichiara abolita la povertà nel 2018) qualcosa l’ha fatta, il Duce, in confronto: ha messo il problema sul tavolo. Piccola parentesi: Mussolini sparecchiò la tavola in anticipo, ma De Luca non l’ha allestita direttamente. Il carisma seduce, il tempo disinganna.
Giordano Pulvirenti