Il settecento mantovano: Giuseppe Bazzani

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Giuseppe Bazzani (1690-1769), artista mantovano nato alla fine del Seicento, si presenta quale un interprete lucido e acquiescente dello stilema neoclassicheggiante.

Le sue atmosfere attingono al lascivo barocco commisto a una sensibilità di effigie veneta che prelude a una nuova narrativa, tipica settecentesca, in cui gli echi classici stigmatizzano il figurativismo.

La chiesa di S. Barnaba si pregia di alcuni suoi lavori che fanno mostra dell’eredità del Veronese e di Bassano. L’impianto compositivo della sua Via Crucis traduce quel linguaggio visivo e lo accosta a uno spirito più “rococò”.

Una teatralità che non separa l’intento descrittivo da quello cerimoniale, convogliando in un pathos che non tradisce una preferenza per il sacro. Un modo di incensare un’etica, suffragandola con una scenografia che rappresenta l’interno dell’anima.

L’estetica risente di una ridondanza che amplifica una retorica barocca, oramai smorzata da un impulso di natura diversa. La volontà è di mantenere un certo manierismo, esasperandolo nella narrativa, iconizzandolo in un credo. Una fede in una prospettiva che sposa i dettami classici, riappropriandosi di un ordine consolidato.

Il gusto dell’artificio trova consenso in Bazzani che sostiene l’avvento del Settecento nelle sue determinazioni stilistiche che prediligono il piacere nell’osservatore. Un’estetica del compiacimento che nella mimica classica ritrova l’esemplificazione di questo sentire.

E’ serbata in S. Maria della Carità l’opera raffigurante i miracoli di Pio V con l’intento di edificare una morale e una conoscenza. Il desiderio di educare collima con la missione decorativa.

Bazzani revisiona la poetica di Rubens e ne accoglie le tinte pastello e le sfumature, sposando quell’effetto “visionario” che dà l’impostazione prospettica. Uno sguardo che profonde dalla tela e che alimenta l’aura sacrale. Un vettore estetico che lo dirige verso Tiepolo.

La sua estasi di S. Teresa riprende quel luminismo argenteo barocco, veicolandolo verso una maturità espressiva che ne estremizza la dialettica chiaro-scuro. La drammaticità della scena è soppesata dalla dialettica delle due figure in primo piano. L’enfasi tace e sottende l’amplesso della santa, con pudore, inserendo l’opera in un contesto classicheggiante, ammantando l’eccesso.

 

 

Costanza Marana
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