Il sessismo di Stato rappresenta l’eredità culturale che Silvio Berlusconi lascia al nostro Paese

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In Italia, il sessismo di Stato vede nella figura di Silvio Berlusconi l’artefice di un’involuzione culturale che si è manifestata durante gli ultimi anni del secolo scorso e che ancora oggi persiste nella nostra società.

L’ ostentata libertà di Berlusconi, caratterizzata da puro maschilismo e sessismo estremo, è stata elevata a modello di una rivoluzione collettiva che altro non era se non un’aspirazione individualista per una società che vedeva in tale paradigma culturale la possibilità di riuscire a raggiungere il suo livello di ricchezza, ma che si è rivelata solamente la matrice che ha dato vita al sessismo di Stato in Italia.

La retorica della società contemporanea in merito al sessismo tende a precisare che in nessun ambito, sociale o istituzionale, il genere femminile sia considerato secondario rispetto ad una organizzazione della realtà che crede ormai sorpassata la visione della donna come essere non emancipato.

Eppure, nonostante al giorno d’oggi la presenza della donna sia rintracciabile in molti settori lavorativi e pubblici, all’interno di questi discorsi la figura femminile appare sempre come una “vittima”, fragile e condiscendete, o come “maschilizzata”, aggressiva e temeraria.

Da ciò si deduce che l’inclusione della donna nella vita pubblica sia ancora bloccata in pregiudizi che ormai vanno oltre la logica dell’emancipazionismo. Si tende a far scomparire la complessità dell’essere donna, manifestando ancora il bisogno di aggrapparsi alla forma del suo corpo piuttosto che dare importanza alla singolarità della sua esperienza, riducendola ad un “oggetto” del discordo pubblico e velatamente togliendole quella credibilità che il preconcetto di essere donna si trascina da anni e anni.

Nasce da questo contesto la necessità di analizzare il fenomeno paradossale che è conosciuto come “sessismo democratico” presente nelle società neo-liberali e che in Italia compare proprio nell’era berlusconiana.

Il sessismo di Stato in Italia si manifesta nell’era berlusconiana

Con la vittoria di Berlusconi nelle elezioni politiche del ’94, si apre una stagione in cui la figura del “cavaliere” diventa un vero e proprio esempio culturale che riesce a modellare l’opinione pubblica secondo canoni nettamente ad personam, soprattutto per quanto riguarda le questioni di genere.

Il punto chiave di questa devastazione culturale misogina e sessista dell’era berlusconiana e che ancora persiste nella nostra subcultura, è rappresentato dall’uso della televisione.

Questo elettrodomestico, che già negli anni ottanta rappresentava l’innovazione che dettò la trasformazione della propaganda e del modo di porsi per conquistare il consenso popolare, ha permesso al proprietario delle tre maggiori reti televisive di avere un mezzo di comunicazione per entrare a qualsiasi ora del giorno nelle case degli italiani e affermare la propria ideologia.

Gli opposti universi femminili nella vita di Berlusconi

Da un lato, l’universo femminile nella vita di Berlusconi era rappresentato da donne che rimanevano un passo indietro rispetto all’uomo. Erano donne al servizio della famiglia tradizionale, sempre presenti per supportare l’uomo, ma che non erano mai poste allo stesso livello.

Ne sono un esempio la madre Rosa, alla quale il fondatore di Forza Italia era molto legato, e Veronica Lario, moglie di Berlusconi dal 1990 e con la quale ha avuto tre figli. Quest’ultima prima di diventare la consorte dell’ex premier era una attrice, ma con il matrimonio sia la sua carriera sia la sua vita pubblica, vengono del tutto annullate.




Dall’altro lato, invece, le figure femminili che andavano in onda nelle reti televisive di Berlusconi rappresentavano l’esatto opposto. Infatti, l’ideale di donna promosso attraverso i mezzi mediatici del fondatore di Forza Italia era quello di una donna continuamente sessualizzata.

Giovane, graziosa, tutt’altro che pudica, provocante, artificialmente abbellita, molto spesso mezza nuda e soprattutto muta. Togliendo alla donna qualsiasi diritto di opinione e rilegandola ad una condizione di “oggetto” messo in mostra per il pubblico, Berlusconi riuscì ad imporre questo canone estetico a livello nazionale: dagli spazi televisivi ai palazzi governativi, fino ad intaccare le singole realtà dei cittadini.

Il sessismo di Stato diventa un tratto caratteristico della cultura popolare italiana

Il controllo del servizio pubblico e del monopolio televisivo, fanno di Berlusconi l’artefice di questa trasformazione della figura femminile a livello pubblico, che in poco tempo prese spazio anche in Rai, facendo diventare il sessismo di Stato un vero e proprio tratto culturale del nostro Paese.

Dalle vallette svestite alle conduttrici mute, da donne chiuse in teche di vetro all’uso di un linguaggio volgare che secondo la logica di questo pensiero risultava divertente.

Non sono mancati gli scandali che hanno visto coinvolto Berlusconi in merito a questioni sessiste, riconducibili sia alla sua vita privata sia a quella politica. Donne divenute oggetto di discriminazioni da parte di uomini influenti e vittime di un pensiero maschilista alla base di un sistema patriarcale che era ormai normalizzato a livello  nazionale.

Solo con l’introduzione di internet e la nascita di media  fuori dal controllo del “cavaliere”, è iniziata una lotta contro questi modelli estetici che hanno segnato lo scenario politico e sociale italiano per tutta l’era berlusconiana.

Le circostanze che hanno reso possibile l’instaurarsi del sessismo di Stato

Per capire come il sessismo di Stato sia riuscito a instaurarsi nella cultura italiana è necessario fare dei passi indietro fino agli anni ’60 e ’70 del secolo scorso.

Infatti, dopo la metà degli anni ’60 iniziano a formarsi a Milano i primi collettivi femministi che rappresentano il punto di partenza per la creazione del Movimento femminista italiano.

La nascita del femminismo italiano come movimento collettivo ha origine nel periodo caratterizzato dalle contestazioni studentesche, dalle lotte operaie dell’autunno caldo e dalla nascita della nuova sinistra.

Il progetto di riformulazione dei valori culturali, sociali e politici di questi anni porta ad una consapevolezza maggiore in merito alla considerazione del ruolo delle donne. Infatti, il movimento femminista si radicalizza su tematiche che vedono la messa in discussione del ruolo dei sessi e dei valori del patriarcato in una società sempre più capitalista.

Il ritorno nell’invisibilità del movimento femminista italiano

Il problema che determinò l’inizio della parabola discendente del movimento femminista italiano si presenta nel 1976, anno in cui l’avanzata delle sinistre storiche metterà a tacere i conflitti emersi negli anni precedenti attraverso un processo di istituzionalizzazione in termini legislativi.

A queste problematiche si aggiungono poi gli “anni di piombo”, dove nell’Italia, travolta dalla diffusione del terrorismo, la possibilità di aggregazione e mobilitazione collettiva venne meno.

In questo periodo, gli avvenimenti politici del nostro Paese saranno incentrati prevalentemente conto la lotta al terrorismo e di conseguenza qualsiasi forma di dissenso sociale che non riguardava tale ambito venne accantonata.

Si manifesta, così, una specie di inversione nel mondo femminista italiano che passò da mobilitarsi in ambiti pubblici a concentrarsi su specifici settori della cultura e quindi verso un universo più simbolico.

Furono tali avvenimenti che determinarono il progressivo e inevitabile ritorno verso l’invisibilità  del movimento femminista e tale scomparsa dal settore pubblico rappresentò la causa primaria per l’affermazione del sessismo di Stato  in una cultura che sembrava libera da antagonisti da combattere. 

Andrea Montini

 

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