Il senso di Theresa May per la Brexit

Questa settimana il primo ministro britannico Theresa May ha pronunciato un importante discorso al parlamento di Londra, in cui ha iniziato ad illustrare le modalità di attuazione dell’uscita della Gran Bretagna dall’UE (la Brexit).

Theresa May a Davos (www.lastampa.it)

Il suo discorso era molto atteso perché, finora, la Brexit era rimasta un “buon proposito” senza dettagli su come questa avrebbe impattato sui rapporti tra Gran Bretagna e Unione Europea e sull’economia del regno Unito. Tuttavia, chi si aspettava maggiori dettagli è rimasto deluso, poiché si è trattato di un discorso alquanto vago, mirante più che altro a convincere il Parlamento a concedere fiducia al piano in 12 punti che il governo sta attualmente preparando. Tra i passaggi principali del discorso vi è la volontà di non ricercare un accordo a tutti i costi con Bruxelles: “un non accordo è meglio di un accordo sfavorevole al Regno Unito”, sottolineando come la vittoria del “Leave” non sia stata una chiusura al mondo da parte della Gran Bretagna, bensì una volontà di portare il proprio paese ad aprirsi maggiormente al mondo, lasciandosi alle spalle le pastoie europee nel solco della tradizione internazionalista del Regno Unito (qualcosa non quadra).

La May rimane fiduciosa di poter ottenere un accordo favorevole con Bruxelles sulla Brexit, la cui procedura dovrebbe partire ufficialmente da marzo. Da qui poi vi saranno due anni di tempo per concludere un negoziato sui trattati commerciali e sulla circolazione delle persone tra l’UE e Londra. Le premesse sono comunque la non volontà di rimanere nel mercato comune, non voler più sottostare alle decisioni della Corte di Giustizia Europea e voler riprendere il pieno controllo dei propri confini. Una valanga di aria fritta buona per convincere gli elettori, ma che probabilmente, alla fine dei negoziati, lascerà il Regno Unito molto più impoverito rispetto a prima della Brexit. Il primo problema sarà proprio l’abbandono del mercato comune, principale sbocco dei prodotti britannici e che sicuramente causerà numerosi problemi in borsa alle aziende britanniche. Anche la City, polo finanziario dell’Unione Europea, vedrebbe ridursi il suo volume di affari in maniera non indifferente. A meno che la Gran Bretagna non stia ripristinando in segreto il proprio impero coloniale, la Brexit rischia di tagliarla veramente fuori dal mondo, al contrario di quanto vadano affermando i suoi sostenitori.

E pensare che tutto era nato come mossa elettorale per battere Farage che, ironia della sorte, non è nemmeno riuscito a farsi eleggere in parlamento. Tra due anni si vedranno i risultati di questa mossa azzardata, ma non serve essere dei profeti per sapere che saranno pessimi. E la Brexit rimarrà come esempio per tutti quegli pseudo capipopolo dell’estrema destra che non hanno ancora capito come funziona veramente il mondo. Auguri, e si spera che l’accordo sia il più duro possibile. Dentro o fuori, nessuna alternativa.

Lorenzo Spizzirri

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