Il miglior regalo da fare all’amante di un genere letterario è ambientare una vicenda nei pressi di casa sua. Perciò, invitiamo i bresciani lettori di horror e/o romanzi gotici a cercare il romanzo scritto a quattro mani da Marco Di Giaimo e Giuseppe Bono: Il segreto del vecchio cimitero (Arese 2016, Edizioni Della Vigna). Esso è infatti ambientato a Borgo San Giacomo; il Comune ha patrocinato la pubblicazione. L’opera è stata vincitrice al Premio Italia 2017, per la sezione “Romanzo di autore italiano – Fantasy”.
Il titolo si riferisce al cosiddetto Sagrato: l’elegante cimitero databile al 1777/78, che fiancheggia la chiesa parrocchiale. Un’opera di pregio, con chiostro a porticati, cappella centrale e impiego di marmi. Peccato che fosse destinato a un’attività breve. Nel 1806, il famoso editto napoleonico di Saint-Cloud impose che i defunti venissero seppelliti fuori dall’abitato. Inutili furono i tentativi dei cittadini di mantenere in uso il Sagrato.
Ma, se non vi si potevano aggiungere salme, nulla impedì di circondarlo di rispetto come monumento storico-artistico. Peccato che, attualmente, pochi ne conoscano il valore. Come attesta un’appendice del romanzo, svariati sono stati gli impieghi del cimitero settecentesco: luogo di raduno dei giovani parrocchiani, magazzino di legna e fieno, orto e frutteto.
Uno di questi “usi svariati” è, per l’appunto, l’occasione d’inizio del romanzo. Un gruppo di volontari sta allestendo il tradizionale presepio proprio nel Sagrato. Fra loro, vi sono i due operai Mauro “Precarius” Cavalli e Franco “Gatto” Spinone. Chiacchierando del più e del meno, riesumano una vecchia leggenda, che realmente si narra a Borgo San Giacomo: in una tomba del Sagrato, sarebbe conservata la salma di un prelato, seduto su un trono e vestito dei paramenti sacri.
Dalla leggenda del “prete seduto” alla riesumazione reale il passo è breve. Con alcune scuse, i due amici si fanno affidare le chiavi del vecchio cimitero e riescono a penetrare in un sepolcro assai ben nascosto…
Qui, non trovano solo il famoso “prete seduto”, ma anche qualcosa di ben più pericoloso: uno scheletro coperto da un sudario e con un mattone conficcato in bocca. A questo punto, i cultori del genere avranno sicuramente riconosciuto un Nachzehrer: un vampiro che si riteneva potesse nutrirsi del proprio sudario, per poi uscire dalla tomba e spargere pestilenze, utili a procurargli i cadaveri di cui si sarebbe nutrito.
“Il nome Nachzehrer è tedesco e nasce dalla fusione di leggende medievali germaniche e slave, presumibilmente diffuse tra la Baviera e la Polonia. L’arrivo di tali leggende in Italia si giustifica probabilmente con la presenza in alcune valli in Val d’Aosta nell’alto Piemonte e in alcune aree lombarde di una popolazione chiamata Walser (in tedesco significa più o meno valligiani) che parlano tuttora un idioma di origine germanica, simile a quello di alcuni cantoni della Svizzera Tedesca. […] Queste leggende sarebbero nate perlopiù tra il XV e il XVII secolo, vale a dire l’epoca della Grande Peste, la peste bubbonica di manzoniana memoria. I villici tedeschi erano infatti convinti che il corpo del Nachzehrer fosse portatore di peste, mentre al contrario il suo sudario avrebbe avuto particolarità taumaturgiche…” (Franco Piccinini, La leggenda dei Nachzehrer, in: Marco Di Giaimo e Giuseppe Bono, Il segreto…, pp. 235-237).
Gli autori del romanzo si ispirano a un presunto Nachzehrer italiano, rinvenuto dall’archeologo Matteo Borrini nel camposanto dell’isola del Lazzaretto Nuovo, a Venezia, tra il 2006 e il 2008. Si tratta dello scheletro di una donna con un mattone infilato a forza in bocca. Costei è ormai nota, appunto, come “il vampiro di Venezia”: titolo di un altro romanzo, quello che Giada Trebeschi ha pubblicato per i tipi di Oakmond Publishing nel 2017.
Gatto e Precarius, coinvolti nel gioco della macabra scoperta, fanno la sciocchezza di rimuovere il mattone dalla bocca del vampiro. Una bravata dalla conseguenze devastanti: per Borgo San Giacomo, torna infatti un incubo dai secoli passati…
Non diremo di più sulla trama. Ci limiteremo ad aggiungere che il Nachzehrer avrà bisogno di alleati umani, per potersi nutrire. Uno è un ciarlatano che specula sulla buona fede dei clienti: insomma, a suo modo, un degno collega della creatura che si nutre del prossimo. Gli altri complici del vampiro… sono le sue stesse vittime, che cedono alle sue illusioni, trattandolo da persona cara. Sono forse modi per suggerire che i vampiri allignano dentro di noi, sotto forma di vizi e debolezze.
A chi non volesse cimentarsi con questioni filosofiche, resterà sempre la curiosità di vedere storia e leggenda agire su un palcoscenico nostrano, con le classiche nebbie padane, i familiari bar traboccanti di pettegolezzi e persino qualche brescianissimo vernacolo.
Erica Gazzoldi