Cimitero Maggiore di Milano, sabato 20 maggio. L’occasione è di quelle ghiotte per i seguaci di Lex Luthor, ve lo ricordate? È quel fan dei pipistrelli, a cui piace farsi i selfie appeso a piazzale Loreto; so che avete sicuramente capito di chi stiamo parlando, per cui andiamo avanti. Si celebra il quarantennale della morte di Salvatore Umberto Vivirito, fascista di Avanguardia Nazionale, morto il 21 maggio 1977. Vivirito (porello ) quando è morto aveva 22 anni. E com’è morto, chiederete voi? È morto al seguito delle ferite di arma da fuoco, riportate durante una rapina in gioielleria. Scandalo! Perché con gli immigrati fate i buonisti e con gli itagliani no? Perché in quell’occasione ammazzò, con sei colpi di pistola, il titolare del negozio, Ernesto Bernini, ferendo anche gravemente, la moglie del titolare. Ma per Don Amendola, l’assassino fascista è un eroe. Si, avete capito bene, non me lo sto inventando. Il prete fascista, lo ha definito “eroe della solidarietà”. Capito? Eroe della solidarietà. Già, perché il suo Robin Hood, aveva svaligiato la gioielleria, non perché ad Avanguardia Nera servivano capitali per acquistare armi e per fare rappresaglie, no no. Sicuramente avrebbe donato il bottino ai poveri. E si capisce che poi il prete continui dicendo “coraggio di combattente”, ed ostinazione nel “battersi quando vedeva l’ideale umano oltraggiato”.
Ma di quale ideale umano parla Don Amendola? Quali valori possiamo commemorare, ricordare e tollerare? Forse, quelli che facevano gonfiare il petto al tizio dalla lucida pelata, mentre con lucida follia trasmetteva a Graziani telegrammi di questo tipo: “Autorizzo ancora una volta Vostra Eccellenza a condurre sistematicamente politica del terrore et dello sterminio.”?
Quante ore servirebbero per omaggiare ognuna delle 120.000 vittime libiche trucidate, scannate, salassate e spremute fino all’ultimo pleonastico respiro da parte di quel nero esercito retto dal totalitarismo violento e autoritario?
Quanti altri eroi della solidarietà ci sono stati in Etiopia nel monastero di Debra Libanos? Quanti a Renicci, Palmanova e Danàne?
Don Amendola, col braccio destro ben steso poco distante dalle tombe e dalla bandiera di Avanguardia Nazionale per ben tre volte ha salutato il camerata Vivirito col salute romano, e quello che rimane sono fragori, frastuoni che solcano l’anima di chi ancora ne ha una.
La parte triste di questa storia riguarda media e giornali. Quasi tutti concludono affermando che la cosa che impressiona maggiormente in tutta questa storia è il saluto romano da parte del parroco. Il saluto romano è ciò che ognuno di noi è in grado di vedere nel video che tanto sta facendo discutere in questi giorni, ma ogni iniquità, violenza, crudeltà e perfidia che si nascondono dietro a quel gesto, no. Non puoi vederle in quel video! Non puoi sentirle raccontare da chiunque, perché, non puoi accettare con superficialità un passato che è ancora presente e che magari amaramente diventerà futuro.