Il Roma Pride non é ancora inclusivo come dovrebbe

Roma Pride

Da “Gay Pride” a “Roma Pride” il passo è stato lungo e faticoso ma ha rappresentato un grande balzo in avanti per tuttə le persone della comunità Lgbtqia+ non omosessuali. Eppure, c’è ancora tanto lavoro da fare.

Questo è stato il mio undicesimo Roma Pride. In questi anni ho visto letteralmente evolvere il “Gay Pride” e diventare sempre più inclusivo (tanto che oggi si chiama giustamente e solo “Pride”) e aperto a tutti. Perché non è scontato, voglio premettere, che il Pride sia inclusivo. Anche adesso non lo è. Non del tutto almeno. Ma prima di parlare di questo voglio affrontare un paio di questioni.

Un milione di presenze

Quest’anno il Roma Pride ha toccato un milione di presenze, uno dei numeri più alti di sempre. C’è stata una forte presenza di stranieri, soprattutto inglesi e francesi, venuti appositamente ad appoggiare la causa Italiana. Sul tavolo due rivendicazioni importanti: la GPA sicura e legale e protestare contro il blocco delle trascrizioni dei figli e delle figlie delle coppie arcobaleno, il primo attacco frontale del Governo Meloni alla comunità Lgbtqia+.

Come prevedibile, i giornali di destra hanno attaccato il Roma Pride, giustificando la scelta di Rocca di togliere il Patrocinio al Pride della Capitale. Scelta condivisa, ad esempio, dalla Lega dove Susanna Ceccardi a Dritto e Rovescio afferma che il Pride sia solo una manifestazione politica e che non rappresenti tutta la comunità Lgbtqia+, come ad esempio gli omosessuali di destra. Diciamo che non mi aspettavo altra dichiarazione dalla Ceccardi, la stessa che ha paragonato i migranti a dei chihuahua (video qui).

Il Pride è una manifestazione esclusivamente politica? No, non lo è, e non fatevi ingannare. Sicuramente c’è una forte rivendicazione politica, sia di rappresentanza che di esistenza, ma ghettizzarlo esclusivamente in questa visione è limitante e oscurantista. Ciò che la destra attacca davvero non è la politica del Pride ma la cultura Queer che porta in piazza, fatta di “scandalo”, perché no, di rappresentazioni non binarie, non eteronormate e non inquadrabili in una prospettiva già delineata dalla nascita. Un fiume di persone libere, almeno per un giorno, di  esporsi e di sentirsi rappresentate da una città che troppo spesso le esclude. Una cultura che mette “in pericolo” la visione tradizionale di famiglia e identità che la destra vorrebbe tramutare in leggi, proponendo una specie di morale consacrata che giustifica, tramite la “parola di Dio”, l’ avversione verso ciò che mette in pericolo una visione reazionaria del mondo e dell’individuo.

Un “vaffanculo” liberatorio

L’altro tema che alla destra piace affrontare ogni anno con argomentazioni che, lasciatemi dire, farebbero ridere anche i comici è il lato “intollerante” del Pride: questi gay non hanno rispetto per la religione, per le donne, per gli eterosessuali (il famoso «dovrebbe esistere un Etero Pride»).

Quest’anno, il tutto è riassunto da un video di Pro Vita: nel video, che trovate qui, potete vedere dei tranquillissimi “vaffanculo” rivolti verso la loro sede, a Roma, durante la manifestazione di ieri. Mi chiedo, da quando dei “vaffanculo” sono sintomo di “intolleranza”? Non era la comunità lgbtqia+ quella alla quale «non le si può più dire nulla»? Davvero non si può più mandare “a quel Paese” chi continua ripetutamente a dire che i nostri figli sono illegali, o perché sono contro la natura di un presunto Dio o per decenza di Stato, o a disseminare cartelloni vergognosi in giro per l’Italia dove attaccano la comunità lgbtqia+ , come sulla GPA. Eppure, la Gestazione Per Altri attualmente viene praticata prevalentemente da eterosessuali, quasi il 90% del totale.

L’inganno

Quello che i media mostrano del Pride, e in particolare del Roma Pride, è una porzione talmente piccola che non può rappresentare in nessun modo il Pride stesso, sia che si parli di rappresentazioni di destra, con la narrazione che gli fa comodo narrare, che di sinistra. Il Pride prevede una così vasta partecipazione di persone diverse, che fanno della diversità la loro unicità, che è impossibile capirne l’anima se non partecipando fisicamente al Pride. E questo è il mio invito per tutti voi. Non vi piace il Pride? Non ne condividete i modi? Non credete che serva? Venite al Pride, venite a vedere con i vostri occhi l’aria che tira, la felicità di sentirsi liberi, la spensieratezza di non doversi guardare le spalle. Scoprirete una realtà che non è come si racconta.

Il Roma Pride è inclusivo?

Torniamo all’inclusività del PrideDa almeno cinque anni vado alla ricerca di esponenti della comunità Aspec all’interno del Pride, sia di Roma che di Bologna, cercando di vedere quanta rappresentanza hanno e quello che vedo purtroppo non sempre mi rappresenta. Negli ultimi anni la situazione è migliorata nettamente ma ancora fatica ad aprirsi del tutto.

La comunità Aspec è composta da persone dello spettro Asessuale e dalle persone dello spettro Aromantico e rappresentano una fetta non indifferente della comunità Lgbtqia+ dove la “A”, infatti, non sta per “Ally”, come spesso si dice, ma per “Aspec”. L’asessualità, come l’aromanticismo, non è una scelta ma un vero e proprio orientamento sessuale e troppo spesso la stessa comunità Lgbtqia+ se ne dimentica.

Afobia

La discriminazione verso le persone Aspec si chiama Afobia ed è una forma di discriminazione particolarmente subdola, forse più dell’omofobia, perché viene perpetrata anche dalle persone appartenenti alla comunità Lgbtqia+. Secondo uno studio fatto da Carro di Buoi, collettivo per l’informazione e la visibilità della comunità asessuale, il 14% (dato in crescita) delle persone asessuali sotto i trent’anni si è vista invalidare il Coming Out da persone del mondo Lgbtqia+. I dati sulle persone Aromantiche, invece, sono praticamente inesistenti.

Sono diversi anni che la comunità Aspec, unita, chiede maggior rappresentanza e ogni anno vedo questa rappresentanza migliorare, sì, ma non come dovrebbe. L’esempio più esplicativo, e dal mio punto di vista più vergognoso, riguarda il DDL ZAN. Un disegno di legge profondamente Afobico e mal scritto che, se pur concordo che rappresentasse un grandissimo passo in avanti per la comunità, mostra tutto il lato reazionario di una parte di comunità ancorata ad una terminologia e una politica escludente: ovvero “Lgbt”.

Purtroppo, anche il Roma Pride spesso cade vittima di questa limitante visione. Di questo ne ho già parlato altrove e non voglio ripetermi, quindi vi lascio l’articolo qui. Quello che in questa sede mi interessa dire è che in due anni non è cambiato assolutamente niente. Dal DDL ZAN ad oggi la comunità Aspec continua a non trovare un posto al Roma Pride e continua ad essere vittima di mal informazione e stereotipi.

Quest’anno si è parlato tanto di Sex Workers, di omofobia e transfobia – giustissimo – ma non si è mai parlato di Afobia. Sono anni che il corteo del Roma Pride si colora di bandiere asessuali e aromantiche, sono anni che migliaia di persone scendono in piazza fiere di chi sono e di cosa rappresentano ma non trovano un pubblico realmente aperto al dialogo e alla rappresentanza unita.

L’ Afobia è una forma di discriminazione subdola che spesso non prevede un’aggressione fisica, quindi fa meno “rumore” e porta meno attenzione, ma non per questo deve essere affrontata con una pacca sulla spalla. Parliamo di spersonalizzazione, minacce ed esclusioni, come dai dibattiti e dalle politiche della comunità lgbtqia+. È arrivato il momento di accendere i riflettori verso l’Afobia e sensibilizzare in materia, smettendo di cercare mostri, forse a volte immaginari, fuori dalla comunità ed iniziare a cercarli all’interno, con autocritica e una buona dose di forza di volontà per approfondire ed ascoltare.

 Al prossimo Pride.

 

Diego De Nardo

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