Con l’imminente anniversario delle rivolte “Donna Vita Libertà” del 2022, il regime iraniano sta intensificando le sue strategie repressive per evitare la ripresa delle diffuse proteste che hanno scosso l’intero establishment dominante per diversi mesi consecutivi. Ad essere presi di mira questa volta sono le famiglie dei manifestanti e studenti universitari, con l’obiettivo di rafforzare il clima di silenzio e sottomissione. Queste sono solo alcune delle gravi violazioni che si stanno verificando all’interno del Paese, se si pensa che negli ultimi 30 giorni il regime iraniano ha eseguito circa settanta esecuzioni di prigionieri.
A denunciare gli arresti arbitrari e le rappresaglie nei confronti di civili è Amnesty International. Nell’ultima ricerca dell’ONG, emergono anche gravi limitazioni ai raduni dove sono state sepolte le vittime delle proteste, danneggiamenti e distruzioni di lapidi. Intanto, ancora nessun funzionario del regime iraniano è stato chiamato a rispondere della brutale repressione della rivolta popolare scattata a seguito dell’uccisione di Masha Jina Amini, il 16 settembre del 2022. La presa del regime si stringe anche sulle Università, che hanno giocato un ruolo cruciale nelle rivolte in quanto hanno agito come bussola intellettuale della società, guidando la nazione lontano dalle tattiche manipolatorie del regime.
Rappresaglie contro le famiglie delle vittime delle proteste del 2022
Secondo l’ultima ricerca pubblicata da Amnesty International, le autorità iraniane hanno orchestrato una campagna di molestie e intimidazioni contro le famiglie delle vittime delle proteste del 2022, aggravando ulteriormente le loro angosce e le loro sofferenze, in violazione del divieto internazionale di tortura e altri maltrattamenti. L’elenco di violazioni dei diritti umani è molto lungo e comprende pestaggi, arresti e detenzioni arbitrarie, procedimenti giudiziari ingiusti e sorveglianza illegale. Alle famiglie è stato inoltre negato il diritto di organizzare cerimonie funebri in memoria dei loro cari deceduti, danneggiando e profanando le tombe di coloro che sono stati uccisi illegalmente con catrame o vernice per poi essere date alle fiamme.
Le autorità della Repubblica islamica mi hanno ucciso un figlio innocente, hanno imprigionato mio fratello e i suoi familiari e poi mi hanno convocata per il ‘reato’ di aver chiesto giustizia per mio figlio. I cittadini iraniani non hanno alcun diritto di protestare e ogni tentativo di chiedere libertà viene soppresso con estrema violenza, ha scritto su Twitter la madre del 16enne Artin Rahmani, ucciso dalle forze di sicurezza il 16 novembre 2022 a Izeh, nella provincia del Khuzestan.
A distanza di quasi un anno dall’anniversario della morte delle vittime, molte famiglie in tutto il Paese terranno delle cerimonie commemorative nel timore che le autorità iraniane rispondano con le solite pratiche violente e repressive. Data la sistematica impunità in Iran e nessuna prospettiva di indagini imparziali ed efficaci sull’uccisione illegale di centinaia di manifestanti e civili coinvolti nelle proteste, e date anche le continue violazioni dei diritti delle famiglie delle vittime, Amnesty chiede alla comunità internazionale di esercitare la giurisdizione universale sui funzionari iraniani, compresi quelli al comando, principali sospettati dei crimini e delle violazioni commesse durante e dopo le rivolte.
Nel bersaglio del regime iraniano anche le Università
Tra le strategie del regime per reprimere le proteste nel periodo che si avvicina al primo anniversario della morte di Masha Jina Amini, ci sono anche quelle che puntano su università e studenti. Secondo il Consiglio Nazionale di Resistenza Iraniana (CNRI), un documento pubblicato e diffuso in alcune università iraniane mostra come il governo di Ebrahim Raisi abbia avviato un processo di reclutamento di 15mila sostenitori del regime come membri delle facoltà accademiche. Un reclutamento che è stato fatto “al di fuori del quadro accademico esistente nelle Università”. Numerose decisioni sono state inoltre prese all’interno di un comitato di intelligence di sicurezza supervisionato dal capo del Corpo della Guardia Rivoluzionaria Islamica (IRGC) contro gli studenti che protestano e i professori dissenzienti che non aderiscono ai principi dell’establishment. Queste decisioni hanno portato più di 2mila studenti convocati al comitato disciplinare, 643 sono stati espulsi e banditi dall’università e 281 persone sono state sospese dal servizio universitario per lo stesso motivo.
Questa serie di azioni repressive da parte del regime fanno parte di un piano di sicurezza per esercitare un maggior controllo sulle università e per limitare l’influenza di questa istituzione sulla società. Tuttavia, nonostante gli sforzi del regime di opprimere e mettere a tacere professori e studenti, le scene che ci arrivano dall’Iran, delle appassionate e rivoluzionarie proteste studentesche durante e dopo la rivolta del 2022, sottolineano che l’università rimane un’istituzione che resiste in nome della libertà.
In Iran le esecuzioni non si fermano
In Iran le esecuzioni non si fermano, anzi, stanno prendendo tutta la forma di una vera e propria strage di stato, come la definisce Amnesty International. Nei primi cinque mesi del 2023 sono state già eseguite quasi 300 condanne a morte. Nel solo mese di maggio, si riporta una media di tre condanne al giorno. Ad essere messe a morte sono principalmente manifestanti, dissidenti politici e membri di minoranze etniche oppresse. Le autorità iraniane stanno intensificando il ricorso alla pena di morte come strumento politico di repressione per terrorizzare le persone e imporre il silenzio e la sottomissione. Lunedì 21 agosto il totale dei prigionieri giustiziati dalla magistratura è salito a 12 in un solo giorno, che si vanno ad aggiungere ai 70 prigionieri giustiziati nell’ultimo mese.
La comunità internazionale deve prendersi le proprie responsabilità, imponendo una moratoria ufficiale su tutte le esecuzioni, inviare rappresentanti a visitare le strutture detentive e chiedere di poter assistere ai processi degli imputati che rischiano la pena capitale. Maryam Rajavi, presidente eletta del Consiglio Nazionale della Resistenza iraniana, ha invitato le Nazioni Unite, l’Unione Europea e gli Stati membri a porre fine al silenzio e all’inazione di fronte al regime con il più alto record di torture ed esecuzioni del XXI secolo. Ha inoltre sollecitato un’azione immediata per fermare la macchina di morte di questo regime e ha sottolineato che il popolo iraniano sta pagando il prezzo dell’acquiescenza e della negoziazione con lo spargimento di sangue orchestrato dai vertici del potere nello Stato.