Il punto in cui i familiari di un tossicodipendente non possono fare nulla

Di Selvaggia Lucarelli


Quelli che scrivono a Ilaria Cucchi che lei il fratello lo aveva abbandonato, oltre a non sapere nulla di quella famiglia, dovrebbero vedere un film recente, molto istruttivo sul tema, ovvero “Beautiful boy“.

Dovrebbero perché oltre ad essere un film bellissimo, è una storia vera, raccontata precedentemente in due libri diversi scritti da padre e figlio. Il ragazzo, giovane, sensibile e talentuoso, comincia a drogarsi. Nonostante la famiglia tenti in tutti i modi di dissuaderlo, non riesce a uscire dalla dipendenza. Il padre (un noto giornalista) si incazza, si dispera, si arrovella, si ingegna, tenta di distrarlo, di offrirgli strade alternative ma a un certo punto realizza una cosa semplice e devastante: non può fare nulla. E’ il figlio che deve salvarsi.

Ed è così che il figlio tocca il punto più basso dell’abbrutimento. La sua ragazza (drogata anche lei) una notte, in macchina, sta per morire di overdose.
Lui, mentre gli infermieri caricano la ragazza sull’ambulanza, chiama il padre al telefono dopo tanto che non lo sentiva. E’ disperato, gli chiede aiuto.
Il padre lo ascolta, gli dice “Ti voglio bene, ma non posso aiutarti”. E attacca il telefono.
Poi piange, piange tantissimo, come un bambino.
Ama così tanto suo figlio, da rischiare di perderlo pur di provare a salvarlo.

Se non capite che arriva un punto in cui i familiari di un tossicodipendente non possono fare nulla e che quel non fare nulla è un dolore assoluto, siete dei poveri coglioni col cervello annebbiato, senza neppure bisogno di drogarvi.

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