In Ciad non c’è stato un colpo di stato. È questo il giudizio che ha dato l’Unione Africana quando una giunta militare composta da 15 militari ha preso il potere nel paese l’anno scorso.
Il comitato militare capitanato da Mahamat Deby, in seguito alla morte del padre di Deby, ha promesso una transizione di potere ai civili in Ciad.
Idriss Deby, il padre dittatore
Deby, il padre, è arrivato al potere nel 1990 con un colpo di stato che ha destituito il precedente dittatore Habrè. Nonostante abbia instituito un sistema multipartitico, in Ciad, sotto il suo comando, c’è sempre stato un solo partito dominante, il Movimento Patriottico di Salvezza. Dopo aver tolto il limite di due mandati, si è poi fatto eleggere altre quattro volte, in elezioni definite farsa dagli avversari politici.
L’ultima di queste elezioni si è tenuta nell’Aprile del 2021. Deby ha vinto in maniera schiacciante il suo sesto mandato. Per protestare contro questo risultato, i ribelli del FACT hanno deciso di attaccare l’esercito e dirigersi verso la capitale N’Djamena. Il capo dello stato e delle forze armate è quindi andato a guidare le truppe al fronte e, a questo punto, sarebbe stato ferito mortalmente dai ribelli del FACT.
Il FACT e gli altri ribelli
Il FACT, ovvero il Fronte per l’alternanza e per la concordia in Ciad, è un’organizzazione militare nata nel 2016 per contrastare il potere del dittatore. Alcuni membri dell’esercito, che accusano Idriss Deby di silenziare ogni tipo di opposizione politica, si sono stabiliti ai confini con la Libia, e hanno ampliato il gruppo dei ribelli armati contro il potere centrale.
Proprio queste organizzazioni sono state al centro dei problemi di Mahamat Deby e della giunta militare da lui presieduta. C’è voluta l’intermediazione del Qatar perché tutte le parti si sedessero al tavolo dei negoziati, e, nonostante ciò, non si è arrivati ad una soluzione. Il patto è stato firmato in Qatar ad agosto, ma le principali organizzazioni, tra cui il FACT, si sono astenute dal farlo.
Le milizie più potenti richiedevano al governo d N’Djamena principalmente tre cose: una riforma delle forze armate, con un ampliamento del potere militare agli altri gruppi; l’amnistia per i ribelli imprigionati; e infine, l’ineleggibilità dei membri della giunta militare alle prime elezioni democratiche.
La transizione di potere in Ciad
A dire il vero, l’Unione Africana aveva già ribadito quest’ultimo punto. L’unione, spaventata dall’idea che anche il Ciad potesse aggiungersi alla lunga lista di paesi altamente instabili, ha delineato a Deby quali sono le condizioni di una buona transizione di potere in Ciad. La giunta militare avrebbe tenuto il potere per 18 mesi, con la possibilità di rinnovare una volta questo mandato, avrebbe dovuto garantire elezioni democratiche e nessun membro del consiglio militare si sarebbe candidato.
Il governo militare di transizione ha già rinnovato il proprio mandato e anche fissato delle elezioni nel 2024. Fino a qui non c’è veramente alcun problema, solo qualche campanello d’allarme. Il problema è un altro, Mahamat Deby ha già dichiarato di volersi candidare alle elezioni.
L’opposizione non ha preso bene questa notizia. Le principali organizzazioni politiche e della società civile hanno deciso di protestare il 20 ottobre nelle principali città del Ciad. Il regime militare di N’Djamena ha silenziato nel sangue queste proteste. Il bilancio ufficiale è di oltre 50 morti, 300 feriti e centinaia di arresti.
Il nuovo primo ministro del governo di unità nazionale Saleh Kebzabo ha incolpato i leader dell’opposizione per le vittime civili. Il governo di unità nazionale è stato voluto da Deby, che ha nominato un vecchio leader dell’opposizione come primo ministro.
Né il partito dei Trasformatori, né il gruppo di attivisti di Wakit Tamma, hanno preso parte al governo unità nazionale, accusando N’Djamena di voler fare un’operazione di maquillage, per nascondere in realtà un processo poco trasparente e poco democratico di accentramento di poteri.
L’Assemblea costituente del DNIS
Di quest’operazione di maquillage fa’ senz’altro parte anche il DNIS, Dialogue national inclusif et souverain, una sorta di Assemblea costituente che si è riunita nella capitale ciadiana dal 20 agosto all’8 ottobre con il compito di discutere alcune delle questioni più importanti per il paese. L’opposizione e alcuni gruppi di attivisti hanno accusato la giunta di aver politicizzato l’assemblea, mettendo molti alleati politici all’interno.
L’assemblea è poi poco rappresentativa, sia dal punto di vista del genere, le donne, pur rappresentando la maggior parte della popolazione ciadiana, sono solo un terzo dell’assemblea, sia dal punto di vista dell’orientamento politico, che della rappresentanza geografica.
Poi c’è un elemento che farebbe quasi sorridere, se non fosse che si parla dello stato di diritto di un paese: per depositare la propria candidatura a far parte del DNIS c’è bisogno di usare internet. Peccato che in Ciad chi ha accesso ad Intenet è circa una persona su dieci.
Le accuse di pilotaggio e opacità nel funzionamento dell’assemblea di dialogo non aiutano la popolazione a credere nella transizione di potere paventata dall’Unione Africana. Anche questo ha portato alle proteste di piazza del 20 ottobre.
Il futuro per le opposizioni
Secondo la Chadian Convention on Human Rights, da quel giorno ci sono stati più di 600 arresti di “oppositori politici”. I due principali leader dell’opposizione, Succès Masra dei Trasformatori, e Max Loalngar, portavoce di Wakit Tamma, si sono rifugiati per scappare alla repressione della giunta. Entrambe le organizzazioni hanno denunciato deportazioni e processi sommari, come conseguenza delle proteste di piazza.
Dopo che in una fase iniziale c’era stata una graduale apertura del palcoscenico pubblico e del dibattito politico, ora la giunta sta usando le manifestazioni come pretesto per mettere a tacere ogni voce di dissenso. Comincia così la seconda fase di quello che doveva essere un processo democratico di transizione di potere in Ciad, e che invece assomiglia sempre più all’alba di un regime autocratico.