Di Valeria Fonte
Il processo del ricordo implica l’attingere alla fonte della cassa di risonanza della memoria. L’etimologia del termine, dal lat. mèmor, contrassegna la facoltà di ritenere e riprodurre i pensieri primitivi, senza che rimanga o ritorni l’occasione che li suscita. La differenza che intercorre tra il procedimento memoriale e la ricordanza è chiara: quest’ultima vuole un atteggiamento di stato passivo della mente, alla quale senza sforzo e ricerca si ripresentano le cose apprese.
Per tale motivo il modus operandi della memoria risulta essere doloroso e faticoso. Si implementa con razionalità la volontà di “non dimenticare per continuare ad essere”. Non è un effetto collaterale fra associazioni di idee, è piuttosto un percorso voluto dal soggetto attivo che riconosce come significativo il bisogno di fare del passato un continuo fondo di biblioteca al quale attingere.
Questa essenziale premessa può guidare alla scelta di fare memoria e non ricordanza nei riguardi di uno scrittore, saggista e accademico francese: George Steiner. Oggi, 3 febbraio 2021, si ricorda il primo anniversario della sua morte. Mai come in questo momento appare indissolubile il legame fra identità e diversità che ci propone nel testo “Una certa idea di Europa”. Cosa si intende con idea d’Europa? Chi è l’europeo?
Caffè, passi e parole: ricordare chi siamo attraverso l’identità
Le prime testimonianze del mito d’Europa risalgono al VIII secolo a.C. e narrano di una fanciulla fenicia che, presso la banchina, si avvicina volutamente ad un toro, il quale, attraverso un inganno, la porterà con sé attraverso il mare. Quel toro era Zeus, sotto fallaci vesti. La metafora del viaggio nel mare individua una connessione decisiva con la migrazione da Oriente verso Occidente. Cosa comporta questa condizione mitologica per l’habitat contemporaneo e per la consapevolezza di europei?
Comporta l’indissolubile scelta binaria perpetuata della contrapposizione fra diversi. L’identità ed il processo riconoscitivo implicano la responsabilità dell’essere senza escludere la pluralità del diverso. Nel testo “Una certa idea di Europa”, brillante analisi dell’europeicità e andamento riconoscitivo preziosissimo, Steiner identifica cinque punti secondo i quali gli europei si riconoscono come tali. Cosa rende Parigi molto simile a Roma e tanto diversa da New York? L’essere europea.
Essere Europa comporta i caffè, quelli che i francesi chiamano cafés, da quelli di Copenaghen di fronte ai quali passeggiava Kierkegaard nel suo meditabondo girovagare a quelli dei fratelli Pietro ed Alessandro Verri che con la loro rivista letteraria dell’Illuminismo hanno costellato lo scenario milanese di intellettuale cospirazione. Il caffè è il luogo della rivoluzione, degli appuntamenti e della creazione; lo frequentano il flaneur, il poeta, il metafisico. Rappresenta un brain storming di identità politiche e storico-letterarie. L’America del Nord non ha i caffè. Nemmeno Mosca li possiede. La mappa dei caffè diventa un reticolo fisico dell’agorà, arena di eloquenza europea.
L’Europa è perciò una mappa camminata. “La cartografia dell’Europa è il frutto delle possibilità del piede umano”, ci ricorda Steiner. Le distanze hanno una scala umana e ci sarebbe possibile muoverci a piedi da un capo all’altro d’Europa senza morire. Può accadere una cosa simile in Amazzonia? Si può passare da una città americana a quella successiva a piedi? I deserti d’Australia, le foreste degli stati del Pacifico o le paludi della Florida non sono umanizzati e per tale ragione risultano invalicabili. Il “passaggio” ci rende europei. I campi, le foreste, le colline, sono stati plasmati non dal tempo geologico, quanto da quello umano.
Che l’Europa sia modellata per il passaggio dell’uomo rende essenziale la consapevolezza del terzo punto di Steiner: il nome. Le strade, le piazze, i luoghi si appropriano dell’identità di statisti, generali, poeti, artisti, compositori, scienziati e filosofi. Le strade d’Europa sono strade radicalizzate nella storia, che creano memoria, non ricordanza. Potremmo dire la stessa cosa per le strade di New York? “Fifth evenue!”, quinta strada. Le strade, in America, sono numeri in serialità che identificano un reticolo enumerato. L’europeo consapevole si trova, invece, intrappolato nella ragnatela di un ricordo luminoso e insieme soffocante. Henry Ford ha dichiarato “La storia è una sciocchezza!”, asportandoci l’identità dell’essere. Lanciava la parola d’ordine all’amnesia creativa, fatta di edifici obsoleti e inneggiata al potere del dimenticare: inseguimento pragmatico dell’utopia.
L’ambiguo peso del tempo è il frutto di un dualismo primordiale che afferma un assioma consolidato: la doppia eredità di Atene e Gerusalemme. “Essere europei – afferma Steiner – significa cercare di negoziare sul piano morale, intellettuale ed esistenziale gli ideali, le pretese, la praxis contrastanti della città di Socrate e di quella di Isaia”. La nostra vocazione al massacro, alla superstizione, al materialismo ha generato, contemporaneamente, tre creature di importanza primordiale: la musica, la matematica e il pensiero speculativo e poetico. Siamo esseri viventi e consci in bilico fra il baratro della dimenticanza e l’apoteosi della conoscenza: europei.
E come assunto-cerniera notiamo la presenza di una consapevolezza escatolgica, fondata sull’accettazione della nostra fine e del declino. Afferma Steiner: “ L’ Europa è destinata al collasso, sotto il peso paradossale dei propri trionfi e dell’insuperata ricchezza e complessità della propria storia.” Cosa ce lo dimostra? Il secolo breve, i cento anni che hanno racchiuso macabri riscontri in due guerre mondiali, al tempo illecito di un bengala luminoso, come dice Ungaretti, che stermina a grandi distanze senza guardare in faccia il nemico. Lo troviamo davvero così distante dal quotidiano virtuale? Eppure gli schermi labili di cui siamo muniti sono bengala pronti all’occultamento dell’inclusione: mezzi diversi, medesime mete.
Il sogno di discolpa: responsabilità comune della sopravvivenza
La possibilità di rimediare è alla nostra portata, ma è chiaramente una variabile da alimentare con la volontà. Si tratta di scegliere se anteporre l’esemplarità della figura di David Beckham, così come ricorda Steiner, a quelle di Shakespeare e Darwin. Il libero arbitrio si nutre, in questo caso, di inclusività. I caffè, l’Europa camminata, la musica, i nomi delle vie sono solo foglie secche da rastrellare se non si alimenta una “Primavera della rinascita”. Con questa locuzione si intende intervenire prontamente sulla responsabilità di essere. Matteo Salvini urla “Chiudiamo i porti!” , dimenticando l’asserzione amica dell’oblio: decidere di fare a meno delle sfumature di tolleranza e convivenza delimita la decadenza della crescita umana.
Essere europei sottolinea il riconoscersi in questi cinque fatidici punti di Steiner? Non del tutto. Non è abbastanza rendersi parte attiva di un processo di identità se quest’ultima non è funzionale all’accoglienza del diverso. L’Europa non è un contenitore incomprensibile al linguaggio comune della quotidianità: è un mezzo funzionale alla contrapposizione fra Oriente e Occidente pronto a sfociare nella distruzione del medesimo binarismo.