Ora che sono state raccolte le 64 firme necessarie per indire il referendum sulla modifica costituzionale che riduce del 37% il numero dei parlamentari in entrambe le camere, si comincia a riflettere sul fatto che non è il numero, ma la qualità dei parlamentari e del loro lavoro il vero problema.
Ne dà conto uno studio della New York University (citato da Tito Boeri su Repubblica): c’è stato un netto peggioramento nella qualità dei parlamentari dalla seconda metà degli anni ’90.
Forse non c’era bisogno di grandi studi. Bastava ascoltare qualche seduta e chiedere a chi ha fatto il parlamentare nella prima Repubblica e nella cosiddetta seconda. Un abisso le separa. Alle sedute odierne è bene non portare i ragazzi delle scuole ad assistere dalle tribune del pubblico: è diseducativo. Il motivo? Semplice, sono venuti meno i processi selettivi, che allora avvenivano attraverso i partiti, le lotte sociali e sindacali, le esperienze nei territori.
La disintermediazione fra parlamento e popolazione ha portato a un reciproco impoverimento culturale. La selezione con la tastiera del computer promuove i peggiori. La soluzione? Non certo gli esami come a scuola, anche se già farebbero una strage tra i membri dell’attuale parlamento. Mi ricordo ancora le risposte alle domande delle Iene da parte di alcuni deputati colti all’uscita da Montecitorio. Su Garibaldi uno rispose che veniva chiamato l’eroe dei due mondi perché aveva agito tanto nel Nord quanto e soprattutto nel sud d’Italia.
Quindi bisogna ricostruire quella intelaiatura di partiti, organizzazioni, associazioni della società civile. Ossia quel nesso tra democrazia diretta e democrazia delegata senza il quale entrambe sono afone .Di questo parleremo quando verrà proclamato il referendum sul numero dei parlamentari
Alfonso Gianni