Michele Marsonet
Prorettore alle Relazioni Internazionali dell’Università di Genova, docente di Filosofia della scienza e Metodologia delle scienze umane
Il problema di Taiwan, per la Repubblica Popolare Cinese, può subire notevoli cambiamenti dopo che il Kuomintang, precedentemente ostile ai comunisti cinesi, ha ottenuto successo nelle elezioni, dimostrando l’appoggio per un dialogo con Pechino.
A parte la solita gaffe pubblica di Joe Biden, il suo incontro diretto con Xi Jinping a San Francisco ha avuti effetti positivi, soprattutto sul piano della distensione commerciale tra le due maggiori potenze economiche del mondo. Entrambi i leader hanno problemi. Tuttavia, mentre quelli di Biden sono noti, non tutti tengono conto del fatto che anche Xi deve affrontare una situazione tutt’altro che facile.
Per capirlo, occorre rammentare la crisi economica della Repubblica Popolare. Che è reale a dispetto della propaganda ufficiale del Partito. E’ un dato di fatto che Xi, quando è giunto al potere, abbia trovato un quadro economico positivo e in espansione, con un Pil che continuava a crescere anno dopo anno. Aveva fama di uomo pragmatico, e sorprese invece tutti quando, una volta consolidata la sua posizione al vertice, ha iniziato a privilegiare l’ideologia rispetto all’economia, di fatto cancellando le riforme promosse da Deng Xiaoping alla fine degli anni ’70 del secolo scorso, e mantenute dai suoi successori.
Pur in presenza di una censura che definire ferrea è dir poco, si sa che i “grandi vecchi” del Partito gli rimproverano l’impoverimento del Paese. Loro che, in precedenza, erano ascoltati e consultati costantemente, mentre Xi li ha del tutto emarginati affidandosi soltanto ai fedelissimi di cui ha riempito il Politburo. La situazione, però, rischia di andare fuori controllo.
Per il sesto mese consecutivo l’economia cinese registra una diminuzione significativa delle esportazioni, mentre c’è stato un inatteso aumento dell’import. Di qui la necessità di trovare un nuovo modello di crescita giacché, in un periodo come questo, caratterizzato da grande instabilità, confidare soltanto sulla crescita dell’export è molto pericoloso. Xi e i suoi avevano puntato sull’aumento della domanda interna, il che non è avvenuto a causa dei bassi livelli di salari e pensioni. E il leader ha pure emarginato tutti i tycoons – a partire da Jack Ma – che con le loro idee innovative avevano contribuito al successo del Paese.
Sulla questione di Taiwan, tuttavia, il leader cinese non ha fatto alcun passo indietro, ribadendo che l’isola è parte integrante della Repubblica Popolare. Un aiuto può venirgli dal fatto che non tutto il mondo politico taiwanese è favorevole alla proclamazione d’indipendenza. Al contrario, i sondaggi danno in calo gli indipendentisti di Tsai Ing-wen, e in aumento i partiti che cercano una sorta di modus vivendi con la Cina, basato soprattutto sugli intensi scambi commerciali tra Pechino e Taipei.
Nelle ultime elezioni amministrative, infatti, gli indipendentisti di Tsai Ing-wen sono stati sconfitti dal Kuomintang, il partito che fu del generalissimo Chiang Kai-shek, e che combatté nella guerra civile contro i comunisti di Mao Zedong, venendone alla fine sconfitto e costretto a rifugiarsi nella ex Formosa. Il Kuomintang attuale vuole evitare la dichiarazione d’indipendenza e, nonostante il fiero anti-comunismo del passato, è ora favorevole al dialogo con Pechino, da cui ha ricevuto l’assicurazione che l’isola manterrà in futuro una certa autonomia nell’ambito dello schema “un Paese, due sistemi”.
Dopo la repressione di Hong Kong, dove ogni assicurazione di quel tipo è stata disattesa, risulta difficile capire come i capi del KMT possano fidarsi. Ma il successo nelle elezioni amministrative lascia intendere che parte della popolazione concorda.
Per farla breve, gli abitanti di Taiwan vogliono evitare che un conflitto devastante si scateni sul loro piccolo territorio, e preferiscono invece giungere a un qualche tipo di accordo con la vicinissima Repubblica Popolare. Ne consegue che la mina di Taiwan potrebbe essere disinnescata con un po’ di buona volontà da entrambe le parti. Resta da capire come reagirebbero gli Usa, che sull’isola hanno truppe e specialisti che addestrano l’esercito taiwanese.