Tra il 2017 e il 2018, solo in Italia, si è registrato un calo del 4% delle nascite.
Questo trend negativo si ripropone, con sottili variazioni, in tutta Europa. La questione è semplice: non vengono fatti abbastanza figli. Dal lato opposto della piramide demografica, invece, la speranza di vita si allunga sempre più. Queste due dinamiche, insieme, causano un costante invecchiamento della popolazione, problema strutturale di quasi tutti i paesi sviluppati. Insieme all’Europa, infatti, si trovano nella stessa situazione il Giappone, l’Australia e il Canada. Ma cosa provoca, nei paesi sviluppati, questo peculiarissimo “problema del figlio” che non siamo in grado di contrastare?
Le politiche a sostegno della natalità tendono quasi sempre a fallire. Il più delle volte, la scelta di non fare figli non ha niente a che vedere con l’economia. Per comprendere il “problema del figlio” è dunque necessario chiedersi cosa è cambiato, e cosa cambia, nel momento in cui un paese passa da una struttura “sottosviluppata” ad una sviluppata.
La possibilità della scelta
Il primo dato che salta agli occhi riguarda il fatto che, in una società non sviluppata, il problema del figlio non rientra nell’ambito della scelta, bensì si configura come un obbligo imposto da motivazioni economiche, culturali o religiose; unite ovviamente all’assenza di validi contraccettivi che, tuttavia, il più delle volte neanche sarebbero presi in considerazione. La principale motivazione che provoca un’altissima natalità nei paesi sottosviluppati è di carattere tipicamente economico. Infatti il figlio, anzi, i figli, vengono visti principalmente come una fonte d’investimento sul futuro.
Questo investimento non riguarda solo la possibilità di far lavorare il ragazzo, incrementando le entrate familiari. Un secondo aspetto della questione, infatti, è di carattere più ambizioso: la speranza che il giovane possa andare all’estero, magari proprio in Europa o in America. Avere un figlio che lavora in un paese sviluppato, infatti, è solitamente garanzia di sopravvivenza per tutto il resto della famiglia.
Nel mondo sviluppato il figlio ha perso interamente il suo ruolo d’investimento. Al contrario, è qualcosa che bisogna mantenere. Egli costituisce quindi un’uscita economica che, le famiglie, possono o non possono essere disposte ad assumersi. Fare figli nel mondo sviluppato implica quindi la volontà o la possibilità di spendere parte delle entrate familiari per il suo sostentamento. Da questo punto di vista potremmo quindi affermare che, nel mondo sviluppato, il problema del figlio è spesso riconosciuto nella sua reale problematicità.
La secolarizzazione
Più aumenta lo sviluppo di un paese, teoricamente, e più diminuisce l’importanza della religione istituzionale. Le varie religioni rappresentano da sempre dei grandissimi promotori per l’aumento della natalità. In primo luogo si oppongono strenuamente a molte forme contraccettive così come all’aborto. In secondo luogo, però, tendono anche a gestire e organizzare strutture atte a prendersi cura dei bambini orfani riducendo, in parte, la mortalità infantile. Contribuendo, di conseguenza, a convertire la grande natalità in un’effettivo aumento della popolazione adulta.
Per dimostrare quanto la fede influisca sulla natalità è sufficiente prendere in esame il paese sviluppato più religioso di tutti: gli Stati Uniti. Il paese è infatti colmo di sette protestanti, evangeliche, calviniste, cattoliche, ebraiche e così via. Il numero degli atei negli States è tra i più bassi dell’Occidente e questo implica numerose conseguenze. Non c’è alcun bisogno di sottolineare, e ricordare, che, proprio in questo periodo, numerosi stati del Sud hanno varato norme anti-aborto di stampo chiaramente religioso. Ma la questione non si ferma qui. Gli Stati Uniti sono tra i paesi sviluppati in cui si fa un minor uso dei contraccettivi, e il risultato è che il numero medio di figli per coppia sfiori, addirittura, il 3.
Un’altra importante questione legata alla fede, ma non solo, è il ruolo che viene assegnato alla donna nella società sottosviluppata.
La donna della società non sviluppata possiede, spesso, un solo compito: la riproduzione. Questo compito non esclude, ovviamente, la possibilità che essa lavori o che svolga altri compiti determinati. Tuttavia, agli occhi della società non sviluppata, la riproduzione è l’unico ruolo di diretta competenza femminile. Ecco quindi che la donna si sposa, quasi obbligatoriamente, in età giovanissima e, fin da subito, deve cominciare a “produrre” figli. Nelle società sottosviluppate è infatti presente un vero e proprio stigma sociale inerente alle donne non sposate o incapaci di fare figli. L’obbligo del matrimonio e del parto è dunque l’unico modo che queste donne possiedono, spesso, per essere accolte nella società. Per dirla brevemente: spesso le società sottosviluppate non accettano le donne come tali, ma solo come figlie, mogli e madri.
Nelle società sviluppate la situazione è in parte diversa. Dico “in parte” poiché lo stigma, in realtà, esiste in ogni caso. Anche nei paesi sviluppati, infatti, le donne sono spesso viste e riconosciute in relazione al loro essere figlie, mogli o madri. La differenza, però, risiede nella natura di questo stigma. Se nelle società sottosviluppate si parla di un marchio negativo che l’intera società impone alla donna non sposata, nel mondo sviluppato questo stigma dipende dalla cultura delle singole persone. In tali società è dunque possibile, per una donna, lo scegliere di non sposarsi e di non avere figli pur scontrandosi, costantemente, con il biasimo e le critiche di altre donne e di altri uomini: inguaribili impiccioni anacronistici.
Il problema del figlio
Il declino demografico delle società sviluppate dipende dunque da numerosissimi fattori ma, primo fra tutti, e comune alle ragioni finora analizzate, è la libertà di scelta. Mentre nel mondo sottosviluppato è pressoché impossibile sfuggire alle grinfie del matrimonio e della filiazione, in Occidente le condizioni si mostrano ben diverse. Gli alti livelli salariali hanno rimosso, dalla cultura occidentale, l’equazione che riconosceva il figlio come un mezzo per accrescere le entrate familiari, ma non solo. Non essendo più un mezzo per accrescere le entrate familiari e, anzi, identificandosi come dispendio economico, il figlio, a fronte della crisi del 2008, è spesso diventato un elemento destabilizzante all’interno delle famiglie. Ecco quindi che la ricchezza spinge a non figliare mentre ogni calo della ricchezza acquisita spinge a figliare ancora di meno.
La secolarizzazione ha intanto permesso una maggior diffusione dei contraccettivi, riducendo le gravidanze indesiderate mentre, dove è possibile, ci pensano gli aborti ad azzerare interamente questa variabile. Infine, la maggior libertà della donna, anche se con grandissime difficoltà, le permette di scegliere come, se e quando fare figli. Il risultato ultimo di questo processo è dunque il fatto che, il figlio, che nelle società sottosviluppate è un obbligo e una necessità, appare spesso come una “cosa in più“. Un qualcosa da fare nel momento in cui, raggiunta una solida e sicura stabilità, si sceglie di lanciarsi in una nuova avventura che, con consapevolezza, potrebbe assorbire gran parte delle energie dei neo genitori.
Potremmo infatti concludere affermando che, mentre nei paesi sottosviluppati la figura del figlio oscilla tra l’obbligo imposto dalla società e la ricerca di un vantaggio economico, nel mondo sviluppato esso viene riconosciuto, in maniera più consapevole, come un problema che è necessario saper affrontare.
Andrea Pezzotta