Non è una novità. Il presidente americano e la lotta per la tutela ambientale si trovano su due pianeti differenti.
Due pianeti differenti e separati da anni luce di galassie sconfinate, meteore e buchi neri. L’atteggiamento del Tycoon, in tema di tutela ambientale, è infatti del tutto negazionista. Non esiste niente da tutelare. Non esiste niente da difendere. L’avversione del presidente per qualsiasi tema inerente la sostenibilità ambientale sembra emergere, direttamente, dall’imprenditoria selvaggia e brutale del 1950. Talvolta, nel constatare questo fatto, si resta quasi sorpresi. Che si tratti forse di un viaggiatore del tempo che, giunto negli anni 50, ha deciso, senza alcun motivo particolare, di saltare la seconda metà del secolo giungendo, per linea diretta, nei nostri tempi?
In occidente persino i peggiori leader sovranisti percepiscono la tutela ambientale come un tema spinoso. Pur appartenendo allo stesso pianeta negazionista del Tycoon, infatti, raramente questi leader lasciano trasparire le loro convinzioni anti-scientifiche in materia. Al massimo si limitano a lanciare qualche frecciatina o qualche sloogan altisonante ma, sul piano politico, preferiscono ignorare la questione.
Trump invece no. La tutela ambientale non è solo qualcosa che non serve ma è anche qualcosa che si deve combattere poiché, agli occhi dell’imprenditore-presidente, più si tutela l’ambiente e più gli “affari” vanno male.
Una presidenza insostenibile
Petrolio, mattone e carbone. Questa sembra essere la trinità del presidente. Una trinità che ha ricevuto i primi atti di devozione nell’autunno 2018, quando Trump ha eliminato i limiti imposti alle emissioni di CO2 alle centrali elettriche a carbone. Una decisione che non si adatterebbe neanche al 1950 ma che, sicuramente, calzerebbe a pennello nel XIX° secolo.
L’anno prima aveva già salutato gli accordi sul clima stipulati a Parigi nel 2015; venendo bloccato, però, fortunatamente, da una legge del Congresso degli Stati Uniti che, a maggio 2019, ha obbligato il Tycoon a rimanere all’interno degli accordi. Di contro, però, il Congresso non è stato in grado di evitare lo smantellamento del provvedimento, voluto da Obama, che imponeva la produzione di automobili sempre meno inquinanti.
Si potrebbe dire che il sovranismo di Trump, infatti, quando parla di tutelare gli interessi della nazione, si rivolge solo e soltanto a due soggetti: l’economia e gli americani. Razionalmente sarebbe lecito attendersi che la volontà di tutela degli interessi americani dovrebbe sposarsi piuttosto bene con la difesa e la protezione dell’ambiente nazionale. In realtà, però, la razionalità non fa parte di quest’equazione.
Infatti, mentre i paesi del G7 discutevano di clima e biodiversità, il presidente americano, unico assente, ipotizzava l’utilizzo delle bombe atomiche per scongiurare il rischio uragani. Ipotesi tutt’altro che nuova, in quanto espressa, proprio negli anni 50, dal presidente Eisenhower. Proprio quegli stessi anni 50 di cui Trump sembra avere una profondissima nostalgia.
Gli incendi in Amazzonia e Siberia
Anche per quanto riguarda gli incendi che nell’ultimo mese hanno funestato la foresta amazzonica e la taiga siberiana, emerge chiaramente come l’essenziale, per Trump, risieda sempre e comunque nell’economia e nel mercato. Per quanto riguarda il Brasile, mentre numerosi paesi occidentali condannavano Bolsonaro, accusato di non aver preso provvedimenti decisivi al fine di limitare la crisi, Trump ha scelto di rimanere in silenzio. I rapporti tra lui e Bolsonaro sono infatti tutto sommato positivi. Almeno per quanto riguarda una certa comunanza ideologica facilmente riconoscibile. Il Tycoon ha dunque deciso di non muovere alcuna accusa nei suoi confronti, anzi, non ha speso nemmeno una parola sull’argomento.
Riguardo alla Siberia, invece, gli incendi hanno fornito a Trump un pretesto per riavvicinarsi all’amico-rivale Putin. Il presidente americano ha infatti colto la palla al balzo per telefonare allo zar, e dopo qualche breve commento relativo alla questione, ha lasciato cadere l’argomento per dedicarsi a temi, a suo dire, ben più importanti: la collaborazione economica tra le due superpotenze.
Back in the ’50
Nel corso della presidenza Trump sono stati innumerevoli i provvedimenti con gravissime ricadute ambientali. Ad esempio sono stati rimossi anche i limiti inerenti lo sversamento in acqua di arsenico e mercurio. E anche se nel 1700 il mercurio era spesso usato come medicinale, nei nostri tempi siamo piuttosto sicuri che tale sostanza possa essere piuttosto dannosa per la salute umana; ma anche questo sembra essere un dettaglio secondario.
Contemporaneamente si registrano numerosi progetti per spazzar via le norme che limitano l’utilizzo dei pesticidi in agricoltura, lo sfruttamento minerario del suolo e, in particolare, ancora una volta, per quanto riguarda l’estrazione di metano e mercurio. Fortunatamente questi provvedimenti sono già stati bloccati dal Congresso, ma la passione di Trump per il mercurio resta forte e indubitabile. Una passione così forte da ricordare il primo imperatore cinese Qin Shi Huangdi, che pare esser stato sepolto in una tomba sul cui pavimento era riprodotta la mappa del mondo, in cui i fiumi e i mari erano rappresentati da distese di mercurio. Trump però non è modesto come l’unificatore del celeste impero. Perché accontentarsi di un mausoleo quando è possibile riempire di mercurio i fiumi della terra?
Andrea Pezzotta