Il premio Nobel ha ancora senso?

Premio Nobel

Attesi, applauditi, criticati, ricercati: da più di un secolo i premi Nobel sono tra i premi più importanti che si possano ricevere in tanti campi del sapere. Nonostante questo riconoscimento quasi unanime, spesso le scelte dei premiati scatenano polemiche. Tanto che viene da chiedersi: nel 2021 il premio Nobel ha ancora un senso?

Si sono concluse da poco le assegnazioni dei premi Nobel 2021. Anche quest’anno non sono mancate scommesse, discussioni, polemiche.

Alla fine l’hanno spuntata i giornalisti Maria Ressa, filippina, e Dmijtri Muratov, russo, per quanto riguarda il Premio Nobel per la Pace; il tanzaniano naturalizzato britannico Abdulrazak Gurnah si è aggiudicato quello per la letteratura. Il premio per la fisica lo hanno vinto il giapponese Manabe, il tedesco Hasselmann e l’italiano Parisi. Quello per la medicina se lo sono aggiudicati gli statunitensi Julius e Patapoutian, di origini armeno-libanesi. A MacMillian, statunitense, e List, tedesco, è andato il Premio Nobel per la Chimica. Infine, Imbest, Angrist e Card (statunitensi i primi due, canadese il terzo) si sono aggiudicati il Nobel per l’economia.

Ma come nasce il premio Nobel? E chi lo assegna? Le risposte a queste due domande sono importati per riflettere sul senso attuale del Premio Nobel.




C’era una volta Alfred Nobel…

Per rispondere alla domanda del titolo, occorre innanzitutto chiedersi da dove arrivi l’istituzione del premio Nobel… La storia inizia a Sanremo, nel 1896, quando il chimico, ingegnere e imprenditore Alfred Bernhard Nobel, muore nella sua villa. Uomo di successo, ha accumulato una fortuna grazie al suo genio e alle sue invenzioni. I suoi principali successi riguardano però un campo controverso, quello degli esplosivi. Sì, il padre del premio Nobel è l’inventore – ad esempio – della dinamite. Così, il vecchio Alfred, riflette a lungo sulle conseguenze delle sue invenzioni e si chiede: come voglio essere ricordato? Come un mercante di morte, come lo accusano di essere alcuni? O come un geniale inventore? O, perché no, come un benefattore? Ecco allora che prende una decisione netta e la mette per iscritto nel suo testamento: il 94% del suo patrimonio personale dovrà essere usato per uno scopo nobile.

Il testamento di Nobel

…dovrà costituire un fondo i cui interessi si distribuiranno annualmente in forma di premio a coloro che, durante l’anno precedente, più abbiano contribuito al benessere dell’umanità. Detto interesse verrà suddiviso in cinque parti uguali da distribuirsi nel modo seguente: una parte alla persona che abbia fatto la scoperta o l’invenzione più importante nel campo della fisica; una a chi abbia fatto la scoperta più importante o apportato il più grosso incremento nell’ambito della chimica; una parte alla persona che abbia fatto la maggior scoperta nel campo della fisiologia o della medicina; una parte ancora a chi, nell’ambito della letteratura, abbia prodotto il lavoro di tendenza idealistica più notevole; una parte infine alla persona che più si sia prodigata o abbia realizzato il miglior lavoro ai fini della fraternità tra le nazioni…

Le ultime volontà di Nobel danno anche indicazioni in merito a chi dovrà occuparsi dell’assegnazione dei premi e specificano che nella scelta non dovrà contare nessun criterio di nazionalità. Così, nel 1900, gli esecutori testamentari danno vita alla Fondazione Nobel e nel 1901 vede la luce, per la prima volta, il premio Nobel.

Chi assegna il premio Nobel?

I premi per la fisica e per la chimica saranno assegnati dalla Accademia Reale Svedese delle Scienze; quello per la fisiologia o medicina dal Karolinska Institutet di Stoccolma; quello per la letteratura dall’Accademia di Stoccolma, e quello per i campioni della pace da una commissione di cinque persone eletta dal Parlamento norvegese.

Le “giurie” del premio Nobel sono ancora quelle indicate dal suo istitutore nel testamento. Ciascun ente ha una sua commissione che presiede a tutto il processo di scelta e nomina dei candidati. Di fatto, le proposte possono arrivare da tutto il mondo accademico e della ricerca, o da personalità di spicco (quali, ad esempio, ex premi Nobel). Le candidature vengono vagliate e discusse all’interno delle istituzioni e consultando il mondo accademico anche al di fuori della realtà scandinava. Infine, i Comitati votano su una rosa ristretta di nomi.

Ai Nobel per la chimica, la fisica, la medicina, la letteratura e a quello per la pace, si è aggiunto in seguito il premio Nobel per l’economia, istituito e finanziato con una donazione dalla Banca di Svezia, a partire dal 1976.

Un premio “privato”

Tutto parte perciò da una fondazione privata, che attraverso enti e istituzioni scelti appositamente, conferisce un premio che, nel corso degli anni, è diventato il riconoscimento più prestigioso che si possa ricevere nei relativi campi. Questo perché, nonostante il carattere “privato” delle giurie, i Comitati per il Nobel hanno sin dall’inizio allargato il più possibile la platea degli accademici consultati, dimostrando apertura e oculatezza nelle scelte. Tanto che, soprattutto per quanto riguarda i campi scientifici, difficilmente le decisioni dei Comitati – che a volte attendono diversi anni per valutare gli impatti effettivi degli studi – hanno causato polemiche.

Ma dove c’è un premio (anche economicamente cospicuo) c’è spesso una polemica.

Le controversie sul Premio Nobel

Per quanto riguarda i campi scientifici, le polemiche hanno spesso investito più gli aspetti etici che quelli riguardanti gli studi veri e propri. Questioni riguardanti la paternità degli studi, ad esempio. Il caso più celebre è forse quello riguardante Robert Gallo scopritore dell’origine retrovirale del virus dell’AIDS, ma escluso dalle scelte dell’Accademia, che premiò invece il virologo Luc Montagnier e l’immunologa Françoise Barré-Sinoussi, che isolarono il virus l’anno successivo.

Ma le polemiche, anche aspre, hanno riguardato molto più spesso il Premio Nobel per la Pace e quello per la Letteratura. Due campi nei quali, ovviamente, le valutazioni sono molto più condizionate da valutazioni soggettive.

Letteratura e politica

Uno dei casi che ha scatenato più discussioni all’interno del mondo della letteratura è stata l’assegnazione del Premio Nobel a Bob Dylan, nel 2016. Le canzoni sono letteratura? Domanda che tra gli accademici circola da sempre e destinata a non avere una risposta univoca. Peraltro, le discussioni furono ampliate dalla reazione dello stesso Dylan, che mandò in sua vece l’amica Patty Smith alla cerimonia e nella lettera consegnata al Comitato ammetteva egli stesso di non aver mai avuto modo di rispondere alla domanda: le mie canzoni sono letteratura?

Ma i casi più spinosi sono quelli che hanno trasceso il campo squisitamente artistico per scontrarsi con gli aspetti politici. Impossibile tener separato, ad esempio, il valore letterario delle opere di Peter Handke, dal suo sostegno al genocida serbo Milosevic.

Un altro caso celebre è quello di Boris Pasternak, che accettò in un primo momento il premio, ma in seguito declinò, a causa delle pressioni del governo sovietico (e dalle minacce del KGB).

Nobel per la pace?

Ma è il Premio Nobel per la Pace quello in assoluto più incline a scatenare polemiche. Tanto che negli anni della Guerra Fredda fu istituito una sorta di contro-Nobel per la pace, il Premio Lenin. D’altra parte, almeno in questo campo, le scelte del Comitato hanno attirato a volte ampie e motivate critiche.

Certo: la chiave di lettura sta nelle motivazioni per le quali viene assegnato il premio e che riguardano (a differenza di quello per la letteratura che è una sorta di premio “alla carriera”) specifici atti o azioni che hanno contribuito, secondo il comitato, alla pace.

Da Kissinger a Mandela

Ma pensare che anche Harry Kissinger abbia vinto il Nobel per la pace, fa quantomeno storcere il naso. Lo statista statunitense ricevette il premio nel 1973, per la firma sul trattato di pace che sancì la fine (ufficiale) della guerra in Vietnam. Un premio che il suo omologo vietnamita, Lê Đức Thọ, rifiutò, asserendo che la pace fosse ancora solo teorica. Il fatto poi che il premio a Kissinger fosse assegnato proprio nell’anno in cui, anche grazie al suo appoggio, Pinochet rovesciò il governo Allende in Cile dando il via a una delle più sanguinose dittature sudamericane, fa pensare che – per una volta – il Comitato si sia decisamente sbagliato.

Anche i premi assegnati ai leader israeliani Shimon Peres e Ytzhak Rabin furono aspramente contestati, in virtù anche di una motivazione che sottolineava i loro sforzi “per creare la pace in Medioriente”. “Anche appoggiando azioni di guerra contro il popolo palestinese?” si chiedono i detrattori?

Ma, va detto, anche tra quelli per la pace ci sono stati Nobel unanimemente applauditi, come Nelson Mandela o a Rigoberta Menchù.

Ha ancora senso il premio Nobel?

Un fondatore dinamitardo, enti privati, polemiche. La domanda del titolo sorge perciò spontanea? Ha senso il premio Nobel? Ora che le conoscenze viaggiano veloci e tutti possono informarsi su tutto, senza bisogno che le Accademie svedesi accendano il faro sugli studi meritevoli? Ha senso dal momento che le ricerche vengono spesso finanziate da altri enti privati, con donazioni più o meno interessate e che ricerche con fondi maggiori hanno più possibilità di raggiungere risultati premiabili?

Le domande sono legittime e le risposte, forse, tutte accettabili. Ma un premio che dura da 120 anni e che, nelle sue scelte, ha sempre cercato di coinvolgere il più possibile un mondo accademico di livello e trasversale, ha certamente ancora senso di esistere. E lo ha, al di là del riconoscimento (anche economico) che premia a volte le fatiche di una vita di studio, dedicate a migliorare davvero il mondo in cui viviamo.

Il Nobel contro la crisi di autorevolezza

Errori e cantonate – e divergenze di opinioni – possono sempre accadere, naturalmente. Ma in un mondo in cui tutti si esprimono su tutto – e questi due anni di virologi improvvisati ce lo hanno ricordato tristemente – e nel quale un contenuto virale sui social può spostare l’opinione di migliaia di persone, l’idea che ci siano degli esperti che dedicano mesi a vagliare i risultati degli studi nella loro materia di competenza, selezionando e premiando quelli che ritengono più meritevoli, ha – quantomeno – un effetto rassicurante.

Se viviamo – ed è così – in un’epoca in cui la crisi di autorevolezza è una melma che inquina i dibattiti e le discussioni, un premio che fonda la sua stessa ragion d’essere sull’autorevolezza della sua storia e delle sue decisioni, ha un valore che va, forse, anche al di là del giudizio annuale sui singoli premi.

Simone Sciutteri

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