Il ponte Morandi di Genova e l’Italia che va in pezzi. Un altro ponte crollato, altre vite stroncate. E rieccoci al cordoglio nazionale, ai messaggi delle autorità alle famiglie, e naturalmente alle inchieste. I partiti al governo daranno la colpa ai governi passati, quelli all’ opposizione al governo presente: prima regola, evitare che il disastro ci crei danni politici; seconda, cercare di crearli agli avversari.
Il fatto è che i ponti che crollano sono la rappresentazione tragica, tangibile e al tempo stesso simbolica di tutto un Paese che sta andando in pezzi. In Italia sta andando in pezzi la scuola. E quindi la cultura e la professionalità, con tutto quello che segue. Sta andando in pezzi il senso del dovere, sembra che esista solo quello del diritto. Sta andando in pezzi la solidarietà, ma anche la capacità di amministrarla con giustizia ed efficienza. Sta andando in pezzi il rapporto di fiducia fra elettori e i loro rappresentanti: ho persino sentito dire a giornalisti e a politici eletti “È normale che le promesse elettorali servano solo per farsi votare, mantenerle è un’altra cosa”. “Normale” – scusatemi – un par di palle. La promessa elettorale è un contratto dei candidati con chi li vota. Punto. E se gli eletti dicono ai loro elettori che è normale rompere un contratto, o sono scemi loro o sono convinti che siano scemi quelli che li hanno votati. E visto che i politici ragionano benissimo, vuol dire che pensano che gli imbecilli siano gli elettori; e mi sa che abbiano ragione, perché invece di spernacchiare – o peggio – gli eletti inadempienti, quelli che li hanno votati continuano a dar loro fiducia. E non mi riferisco solo agli elettori dei partiti al governo, sia ben chiaro: il problema è vecchio e trasversale. Tutto va in pezzi perché si sta dissolvendo una cosa che è l’energia positiva e la colla della società: la morale, con i comportamenti etici che ne derivano.
E quando va in pezzi, la morale non si limita a scomparire: genera il suo opposto, l’antimorale, la morale capovolta. Non dimenticherò mai quel genitore che dichiarò in TV che sarebbe stato felice se la figlia avesse avuto il privilegio di diventare una Ruby Rubacuori. Né quel ragazzo che, nei confronti di uno che si era arricchito truffando il prossimo, commentò ammirato “Quello è uno che ha saputo farsi i fatti propri. Due anni di prigione, se se li fa, e poi esce e si gode i soldi”. Né i tanti professori frustrati che mi hanno detto “Io promuovo tutti, ci penserà la vita a bocciarli”. Salvo che, andando avanti per mancate bocciature, quei ragazzi ce li ritroviamo poi chini su di noi nelle sale operatorie, o in tribunale, o a manutenere aerei. Una volta i delinquenti venivano additati al pubblico disprezzo e i loro parenti si vergognavano di loro.
Oggi i delinquenti e i loro parenti concedono interviste, e più pesanti sono i crimini, più audience fanno. E magari sono pagati per la prestazione. L’Italia risorta dalla guerra e dal fascismo, quella di un De Gasperi che per il suo primo viaggio negli USA si fece prestare un cappotto che non poteva permettersi, non si è ammalata subito: ci ha messo un bel po’. Come nelle infezioni batteriche, c’è stato un lungo periodo di incubazione, poi la proliferazione ha preso una progressione esponenziale. Oggi l’Italia, grazie a chi non l’ha curata finché si era in tempo, è in una situazione disperata. Una di quelle situazioni in cui la febbre fa sragionare, si hanno le allucinazioni e si è disposti anche a credere a chi propone di curare il tumore con il bicarbonato.