Il plurilinguismo in Italia è un fenomeno evolutivo molto antico
La storia della lingua italiana propriamente detta trae le sue origini nel ‘300, quando era solamente uno tra i tanti dialetti parlati nell’Italia centrale, più precisamente a Firenze. Con il tempo, il dialetto fiorentino si impose come lingua di cultura in un’area molto vasta e oggi è la lingua ufficiale della Repubblica Italiana. Ma questa non è l’unica esistente nella penisola. Infatti, l’articolo 6 della Costituzione recita: “la Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”. L’articolo perciò riconosce la tutela delle lingue minoritarie presenti su tutto il territorio nazionale. Oggigiorno l’Unesco, nel suo Atlante delle lingue in pericolo, ne individua ben 31 di lingue solo sul suolo italiano.
L’evoluzione del plurilinguismo dal latino ai dialetti italici
L’italiano, così come le altre lingue romanze (francese e spagnolo), deriva dalla lingua latina. L’impero romano aveva imposto a suo tempo a tutti i popoli sottomessi di parlare il latino, però solo una stretta cerchia di persone era in grado di esprimersi nella lingua tipica dell’Urbe al modo degli scrittori (ovvero il latino classico). Il vulgus dei mercanti e dei contadini, che non aveva frequentato le scuole a causa della povertà, parlava in modo più semplice e poco rispettoso delle regole della grammatica.
È giusto considerare il dialetto una lingua a sè?
I dialetti italiani si chiamavano perciò volgari, ad indicare la lingua parlata dal popolo che si era differenziata considerevolmente dal latino classico. I dialetti italiani territoriali sono ancora oggi una precisa manifestazione del plurilinguismo: sono vere e proprie lingue con un loro lessico, una loro storia e una loro letteratura, e costituiscono un eccezionale patrimonio linguistico e culturale. Si suddividono principalmente in sei gruppi: settentrionale (gallo-italico e veneto), toscani, meridionali centrali, meridionali intermedi, meridionali estremi. Due altri gruppi di dialetti hanno caratteristiche proprie che ne lingue autonome, ovvero i dialetti sardi e quelli ladini (come ad esempio il friulano).
Spesso si sente dire che i dialetti non devono essere insegnati a scuola perché considerati “una corruzione dell’italiano”. Sarebbe invece opportuno riconoscere che ambedue hanno un diverso ruolo sociolinguistico all’interno del Paese: il primo è la lingua della comunicazione all’interno della Repubblica Italiana, mentre i secondi sono limitati ancora oggi all’uso familiare.
Asia Baldini