Il Pistacchio è coltivato in varie parti del mondo, ma perché solo quello di Bronte è tanto pregiato e ricercato da ottenere il marchio DOP?
Bronte: settembre è il mese del pistacchio, che tra tutta la frutta é sicuramente il più amato; molti non sanno che il frutto è arrivato in Sicilia grazie agli arabi, i quali lo portarono a Bronte, dove accadde qualcosa di straordinario. Oggi, a quasi 1500 anni di distanza, il Pistacchio verde di Bronte è tra i più rinomati e pregiati del mondo, tanto che, nel 2009, ha ottenuto la denominazione di origine protetta. Cosa lo contraddistingue da quello coltivato a Noto (sempre in Sicilia) in Iran e negli Stati Uniti? Per scoprirlo, facciamo prima un po’ di storia.
Il primo pistacchieto
Il paese di Bronte è noto per i suoi numerosi scambi culturali dovuti al continuo succedersi di dominazioni. Ma particolarmente significativo fu l’intervento degli arabi. Essi, approfittando dell’indebolimento della flotta bizantina, quasi contemporaneamente alla caduta di Costantinopoli, salparono alla conquista della Sicilia nell’827 d. C.
Quando il popolo islamico arrivò a Bronte, il popolo non ne fu molto felice a causa delle sottomissioni. Come testimonia lo storico di Bronte Benedetto Radice:
i Musulmani, oltre il Khârag “tassa fondiaria”, sottoposero pure i vassalli, detti dsimmi, al pagamento della pia, tassa per l’esercizio del culto e per essere lasciati nel possesso dei beni. I servi della gleba, detti rekik, passarono in proprietà dei Musulmani insieme ai poderi.
Molti, per sfuggire al pagamento della gezia e alla persecuzione, abbracciarono l’Islamismo.
Tuttavia gli arabi furono degli ottimi agricoltori. Infatti trovarono nella sciara (suolo sterile a causa delle ingenti colate laviche solidificate) terreno fertile per la coltivazione degli agrumi e di una particolare pianta proveniente dalle loro terre. Era la frastukàra, un albero il cui nome botanico è pistacia vera, oggi noto come Pistacchio. Il termine frastukàra è ancora utilizzato ed è il dialettale brontese con cui si indica la pianta, mentre frastùca indica il frutto. Tale coltivazione rilanció l’economia brontese, in quanto il frutto che cresceva un quel terreno si rivelò essere inspiegabilmente il più dolce, delicato e aromatico di tutto il mondo. Solo dopo un millennio (o quasi), grazie progresso della scienza, il segreto del Pistacchio di Bronte venne a galla. Le antiche comunità rurali, infatti, ricercavano la motivazione di tale fortuna in forze soprannaturali, tra cui la leggenda del Ciclope Bronte.
Bronte, la terra dei ciclopi
Il comune in provincia di Catania sorge alle pendici del vulcano più alto d’Europa, l’Etna. La mitologia vuole che le fucine della montagna fossero abitate dai ciclopi Bronte (da cui il nome del paese), Sterope e Piracmon, fratelli di Polifemo e figli di Urano (il cielo) e Gea (la terra). I tre fratelli erano specializzati nella lavorazione del ferro, ma Bronte fabbricava i fulmini di Zeus. Egli, quando non otteneva il rispettodei brontesi, era anche responsabile delle calamità provenienti dall’Etna come terremoti e devastanti eruzioni. Ma in caso contrario, intercedeva per permettere una rigogliosa fioritura del pistacchio.
Il segreto del Pistacchio di Bronte
Miti e leggende a parte, a rendere prezioso il frutto etneo è l’unicità del terreno. Esso, di origine lavica, crea il perfetto connubio con la pianta in quanto viene continuamente concimata naturalmente dalla cenere dell’Etna. La caratteristica di maggior importanza del pistacchio di Bronte riguarda il contenuto di clorofilla, superiore ad altri tipi di pistacchio, ed è a questo che si deve il suo colore verde intenso. Inoltre, il sapore è nettamente più deciso, grazie alle caratteristiche del terreno, ricco di sostanze minerali anche per via delle frequenti colate laviche del vulcano.
Ma perché settembre è il mese del pistacchio? La risposta sta nella fioritura. Infatti è a fine estate che avviene la raccolta e il lungo processo di essiccazione naturale al sole si conclude a fine settembre. Però quello che si fa chiamare l’Oro verde di Bronte non si raccoglie ogni anno, ma ad anni alterni: l’anno dispari serve, appunto, per la raccolta, l’anno pari serve ad eliminare le gemme per proteggere la pianta.
Silvia Zingale