Centinaia di persone vestite di rosa hanno partecipato sabato 24 giugno al raduno LGBTQ annuale “Pink Dot” di Singapore all’Hong Lim Park: è il primo da quando la città-stato ha depenalizzato il sesso gay lo scorso anno.
Il “Pink dot” di Singapore e la lotta alla criminalizzazione dell’omosessualità
Il “Pink Dot” di Singapore prende l’avvio nel 2009. Fin dall’inizio rappresentata un momento tanto festoso quanto di protesta contro le discriminazioni subite dalla comunità LGBTQI+ a Singapore. Infatti, la città-stato, storicamente guidata da leader conservatori, oltre ad essere caratterizzata in generale da altissimi livelli di repressione (a Singapore esiste ancora la pena di morte), non è proprio famosa per il rispetto dei diritti della comunità LGBTQI+. Fino allo scorso anno formalmente l’omosessualità era addirittura considerata un crimine ed era punita con la reclusione fino a due anni dalla sezione 377A del codice penale, una legge di epoca coloniale che criminalizzava il sesso consensuale tra due uomini. Dopo anni che la società civile si impegnava per ottenere l’eliminazione di questa legge obsoleta che, anche se effettivamente non veniva applicata almeno dal 2007, rappresentava comunque una fonte di preoccupazione costante per le persone omossessuali, finalmente nel febbraio 2022 Il primo ministro Lee Hsien Loong ha annunciato l’abrogazione dalla sezione 377A del codice penale.
C’è ancora molta strada da fare
Dunque, quest’anno è la prima volta che il “pink dot” di Singapore si è tenuto dopo la depenalizzazione dell’omosessualità da parte del governo. Se da un lato questa è sicuramente una nota positiva per la comunità LGBTQI+, lo slogan del “pink dot” di quest’anno, ovvero “celebrare tutte le famiglie”, ci ricorda che la strada è ancora lunga. Infatti, molti attivisti per i diritti LGBTQI+ hanno notato come l’abrogazione dalla sezione 377A del codice penale rappresenti solo un risultato parziale per le persone omossessuali. A fronte di questa piccola vittoria, bisogna tenere comunque presente che il primo ministro Lee Hsien Loong, parlando di matrimoni tra persone dello stesso sesso, ha affermato: «Proteggeremo la definizione di matrimonio, contenuta nell’Interpretation Act e nella Carta delle donne, da eventuali contestazioni costituzionali nei tribunali. Dobbiamo emendare la Costituzione per proteggerla, e lo faremo». Insomma, Singapore non sembra intenzionata a fare passi avanti oltre il livello minimo della depenalizzazione dell’omosessualità e la retorica della “famiglia tradizionale” rimane un punto fondante per i leader politici del paese.
Bisogna inoltre tenere presente che, come raccontato da svariati partecipanti al “pink dot” di sabato, vista la criminalizzazione subita per così tanto tempo dalla comunità LGBTQI+, il clima culturale del paese rimane comunque intollerante rispetto al tema dell’omosessualità; per questo motivo a Singapore sono tante le persone che non hanno il coraggio di parlare apertamente del proprio orientamento sessuale con i propri familiari. Questa è un’altra declinazione del tema della famiglia a cui si è voluto dare rilevanza nel corso del raduno di sabato.
L’ esempio della difficoltà di fare coming out che permane ovviamente anche oltre la depenalizzazione è solo una delle tante dimostrazione dell’importanza di un cambiamento culturale oltre che costituzionale; lo raccontano gli attivisti per i diritti LGBTQI+ che al TIME hanno spiegato come, sebbene negli ultimi mesi l’abrogazione dalla sezione 377A, abbia indubbiamente portato ad un maggiore riconoscimento alla comunità LGBT, le persone queer continuano comunque a subire discriminazioni, non solo nelle famiglie di provenienza, ma anche in vari altri aspetti della loro vita, dall’impiego all’alloggio fino al riconoscimento del diritto di creare una propria famiglia che appare ancora come una prospettiva molto lontana. Questo quadro appare confermato dalle ricerche condotte dal 2022 ad oggi. In un sondaggio condotto dalla società di ricerche di mercato Ipsos lo scorso anno, quasi la metà dei singaporiani intervistati ha dichiarato di accettare maggiormente le relazioni tra persone dello stesso sesso rispetto a tre anni prima. Tuttavia, in un altro sondaggio condotto lo scorso settembre dall’agenzia di stampa locale TODAY, il 62% degli intervistati di Singapore di età compresa tra i 18 e i 35 anni ha dichiarato di non volere la legalizzazione dei matrimoni omosessuali, considerando che il matrimonio sia solo quello tra uomo e donna.
In chiusura, speriamo che la depenalizzazione dell’omosessualità, insieme ad eventi come il “pink dot” di sabato, possano pian piano cambiare anche la percezione dell’omosessualità a livello culturale e che a prevalere non siano invece le spinte dei conservatori religiosi locali che vorrebbero sancire costituzionalmente la definizione di matrimonio tra uomo e donna.