L’esistenza di un piano di deportazione dei palestinesi, sopravvissuti al genocidio perpetrato da Israele a Gaza, è confermata da diversi elementi: le trattative avviate dal governo israeliano con paesi africani, che potrebbero accogliere i gazawi in cambio di un corrispettivo in denaro, le dichiarazioni di esponenti politici israeliani e le pressioni dei coloni ultranazionalisti che vedono nella deportazione dei palestinesi da Gaza, un’opportunità ghiotta per rioccupare quell’area e far sorgere altri insediamenti coloniali.
Dall’inizio dell’anno emergono vari elementi che sembrerebbero confermare l’esistenza di un piano di deportazione dei palestinesi, superstiti del genocidio perpetrato da Israele a Gaza. Ormai da diverse settimane infatti, Benjamin Netanyahu, primo ministro israeliano d’estrema destra, ha avviato delle trattative con alcuni paesi africani, come l’Uganda e il Congo, affinché accolgano i palestinesi di Gaza sopravvissuti in cambio di un corrispettivo in denaro.
Paradossalmente, prima che le terre della Palestina storica venissero scelte come “patria d’elezione del popolo ebraico”, nel 1903 proprio l’Uganda era stata individuata dal fondatore del movimento sionista Theodor Herzl come meta verso cui esortare il trasferimento degli ebrei.
Peraltro, il piano di deportazione dei palestinesi da Gaza verso altri paesi, sarebbe agevolato nei prossimi mesi dal molo galleggiante costruito degli Stati Uniti per consentire l’accesso di aiuti umanitari via mare, le dichiarazioni rilasciate da Netanyahu all’emittente televisiva israeliana Kan Kan, confermano questa intenzione:
“Il porto può facilitare l’uscita dei palestinesi da Gaza. Non c’è alcun ostacolo per i palestinesi che lasciano la Striscia di Gaza, tranne la riluttanza di altri paesi ad accoglierli”.
Documenti e dichiarazioni di politici israeliani confermano l’esistenza di un piano di deportazione dei palestinesi
Il piano di deportazione dei palestinesi da Gaza verso altri paesi non nasce però dopo il 7 ottobre magari cavalcando l’onda emotiva in seguito all’incursione di Hamas, diverse dichiarazioni di politici israeliani, precedenti a questa data, confermano infatti che tali progetti sono sempre stati in agenda, occorreva solo trovare l’occasione giusta per dargli seguito. Una necessità particolarmente sentita non solo dell’estrema destra israeliana, ma anche da esponenti politici più moderati, è sempre stata quella di tenere sotto controllo la crescita della popolazione palestinese e garantire una maggioranza demografica ebraica. Già nel 2004 lo storico israeliano Benny Morris, in un’intervista ad Haaretz, lamentava il fatto che con la Nakba, ovvero le pulizie etniche compiute dalle bande sioniste Irgun e Haganah nei villaggi palestinesi, prima della fondazione dello stato d’Israele, la deportazione dei palestinesi non fosse stata completata.
Un’ulteriore prova che conferma l’esistenza di un piano di deportazione dei palestinesi è rappresentata da un documento del Ministero dell’intelligence israeliana, redatto prima del 7 ottobre e ripreso alcune settimane dopo i fatti, che individua proprio nella guerra condotta da Israele a Gaza contro Hamas, un’ottima opportunità per evacuare l’intera l’area della Striscia e trasferire i civili nel Sinai.
Davanti a questa eventualità concreta avanzata da Israele, l’Egitto e la Giordania hanno respinto immediatamente e con forza tale piano di deportazione dei palestinesi da Gaza.
Di fronte alla contrarietà dei paesi arabi, il ministro delle finanze israeliano Bezalel Smotrich ha dichiarato il proposito di incoraggiare il “trasferimento volontario” degli abitanti di Gaza e trovare altri stati disposti ad assimilare i rifugiati.
Come denunciato dal Sudafrica nella sua azione legale presentata davanti alla Corte Internazionale di giustizia contro Israele, appare abbastanza evidente che il piano di deportazione dei palestinesi da Gaza verso altri paesi, rientri tra le pratiche genocidarie adoperate dal governo sionista per sbarazzarsi dei superstiti.
Le pressioni dei coloni d’estrema destra nel piano di deportazione dei palestinesi
I coloni d’estrema destra che costituiscono un’ampia maggioranza all’interno dello Stato d’Israele, considerano due ex primi ministri, Sharon e Begin, come dei traditori, il primo per il fatto di aver accolto il ritiro degli insediamenti coloniali da Gaza, il secondo per la decisione di restituire la penisola del Sinai all’Egitto e il conseguente smantellamento degli insediamenti che lì erano sorti.
Oggi gli stessi coloni ultranazionalisti, rappresentano la base elettorale di Benjamin Netanyahu, e pur invocando azioni più coraggiose ed incisive, fanno quadrato attorno all’attuale primo ministro, tifando per la mattanza della popolazione di Gaza e supportando il piano di deportazione dei palestinesi.
Daniella Weiss, leader del movimento degli insediamenti Nachala, da sempre contraria alla creazione di uno Stato Palestinese, ha recentemente esortato l’esercito sionista ad inasprire l’azione militare a Gaza, per arrivare a rioccupare l’intera area su cui dal 2006, ossia dalla presa del potere da parte di Hamas, i coloni non esercitano più alcun controllo. Secondo la Weiss, i massicci bombardamenti costringendo i gazawi ad emigrare, consentirebbero ad Israele di riprendersi tutta Gaza “dal fiume Eufrate al fiume Nilo”.
Proprio Chevel Aza, l’organizzazione vicina all’ideologia di Daniella Weiss, che si batte per la rioccupazione di Gaza e la creazione di insediamenti coloniali in quell’area, ha rilanciato il documento redatto dal ministero dell’intelligence israeliana, in cui viene illustrato il piano di deportazione dei palestinesi da Gaza alla penisola egiziana del Sinai.
“Una casa sulla spiaggia non è un sogno”
Oggi circa 700.000 coloni israeliani occupano insediamenti illegali, sia in Cisgiordania che a Gerusalemme est, sorti su terreni appartenenti a nativi palestinesi, la difesa di tali insediamenti coloniali grava pesantemente sulle casse dello stato sionista. Itamar Ben Gvir, principale punto di riferimento dei coloni ultranazionalisti, è guarda caso ministro della Sicurezza Nazionale, le sue misure politiche hanno finito per armare fino ai denti i coloni sionisti arrivando addirittura a costituire delle squadre di pronto intervento poste a difesa degli insediamenti coloniali illegali.
Diversi movimenti pacifisti israeliani denunciano che proprio l’eccesso di difesa garantita ai coloni avrebbe distolto l’attenzione dell’IDF dalla prevenzione dell’incursione di Hamas del 7 ottobre, e guarda caso, proprio questo avvenimento ha aperto la strada all’attuazione del piano di deportazione dei palestinesi da Gaza e quindi alla possibilità ghiotta per i coloni di reinsediarsi in quell’area.
Certamente, per quanto suscitino ribrezzo e orrore, non meravigliano i depliant di una società immobiliare israeliana che progetta già la costruzione di ville e hotel di lusso sul lungomare di Gaza, lo slogan che recita “una casa sulla spiaggia non è un sogno” è l’ennesima ferita letale inferta ai gazawi, alle vittime a cui è stata strappata via con violenza la possibilità di sognare, ai superstiti che non riescono più a sognare altro che la sopravvivenza.
Ma cosa importa se Gaza è ridotta ad un cumulo di macerie e polvere mista a sangue innocente che continua a scorrere, chi ha gli occhi annebbiati dalla bramosia di denaro, non percepisce il dolore e la disperazione che impregnano l’aria, scorge solo opportunità ulteriori di arricchimento, a costo delle vite di bambini innocenti sacrificate all’altare di un Dio universale che ormai domina il palcoscenico del mondo.
Il sangue degli innocenti versato per il benessere di pochi che stanno già progettando la loro casa vista mare, mattoni su mattoni che sorgeranno su una terra che urla ancora la propria disperata richiesta d’aiuto.
Jenny Favazzo